Lavoro Referendum 2025: più tutele per i lavoratori licenziati?

Referendum 2025: più tutele per i lavoratori licenziati?

Cosa prevede il secondo quesito del referendum 2025 in merito alle tutele per i lavoratori licenziati dalle piccole imprese.

4 Giugno 2025 14:00

Nel panorama delle riforme che promettono di lasciare il segno nel nostro ordinamento, il referendum 2025 si candida a diventare uno snodo cruciale per il futuro dei diritti dei lavoratori nelle piccole imprese. Un appuntamento che, a ben vedere, non riguarda solo addetti ai lavori o sindacalisti, ma chiunque abbia a cuore l’equità nel mondo del lavoro. Al centro della consultazione, la proposta di abrogare parzialmente il celebre articolo 8 legge 604/1966, rimuovendo il tetto massimo alle indennità di licenziamento per i dipendenti delle aziende con meno di 16 addetti. Una questione che, per molti, suona come un banco di prova per misurare la maturità sociale del Paese.

Chi conosce la realtà delle piccole imprese sa bene quanto sia delicato il rapporto tra datori di lavoro e dipendenti. Finora, il sistema ha previsto che, in caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore possa ottenere al massimo sei mensilità di risarcimento. Un limite che, per qualcuno, rappresenta una tutela minima, quasi simbolica, specie se confrontato con quanto avviene nelle grandi aziende. Non è un caso che il dibattito sia acceso: da una parte c’è chi teme che l’abolizione di questo limite possa tradursi in un aggravio insostenibile per le aziende di dimensioni ridotte; dall’altra, c’è chi sottolinea come il sistema attuale perpetui una sorta di “discriminazione” a danno di chi lavora nelle realtà più piccole.

Il secondo quesito del referendum

Entrando nel merito, il quesito del referendum 2025 punta a dare ai giudici una maggiore libertà di valutazione: non più una cifra fissa, ma un’indennità commisurata all’anzianità di servizio, alle difficoltà di reinserimento del lavoratore, al comportamento tenuto dall’azienda. Facciamo un esempio concreto: oggi, un dipendente con dieci anni di servizio e uno stipendio di 1.500 euro può sperare, nella migliore delle ipotesi, in 9.000 euro di risarcimento. Se passasse la riforma, la somma potrebbe lievitare a 18.000 o addirittura 22.500 euro, a seconda delle circostanze. Un salto non da poco, che inevitabilmente cambierebbe gli equilibri interni alle piccole imprese.

È proprio su questo terreno che si gioca la partita. Da un lato, i sostenitori del “Sì” vedono nella modifica una svolta necessaria, in grado di disincentivare licenziamenti arbitrari e di favorire rapporti di lavoro più stabili e rispettosi. Dall’altro, non mancano le voci preoccupate: l’aumento delle indennità di licenziamento potrebbe tradursi in maggiori costi per le aziende, con il rischio di frenare le assunzioni e di mettere in difficoltà quelle realtà produttive che già operano al limite della sostenibilità. In poche parole, la domanda che molti si pongono è: fino a che punto è giusto aumentare le tutele senza compromettere la vitalità del tessuto economico locale?

Non va dimenticato, poi, che la situazione attuale presenta una disparità evidente: nelle grandi aziende, un lavoratore con pari anzianità può ottenere fino a 36 mensilità, ossia 54.000 euro o più. L’abolizione del tetto nelle piccole imprese servirebbe a colmare questo divario, rendendo più omogenee le garanzie per tutti, indipendentemente dalla dimensione del datore di lavoro. Un passo che, secondo alcuni, sarebbe doveroso per allineare l’Italia agli standard europei in materia di diritti dei lavoratori.

Il referendum 2025 pone una domanda di fondo: è giusto che le tutele varino in base alla dimensione dell’azienda? O, per dirla con le parole della Corte Costituzionale (sentenza 183/2022), non è forse arrivato il momento di “riequilibrare” un sistema che, negli anni, ha finito per penalizzare i più deboli? Toccherà ai cittadini scegliere se imboccare la strada di una maggiore giustizia sociale o se, al contrario, salvaguardare la tenuta delle piccole imprese come motore insostituibile dell’economia italiana. Una decisione che, comunque vada, farà scuola e sarà destinata a far discutere ancora a lungo.

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