Mercato del lavoro italiano: disoccupazione in calo, ma crescono gli inattivi
Ad aprile 2025, il tasso di disoccupazione cala al 5,9%, ma crescono inattività e lavoro precario. Un'analisi delle dinamiche occupazionali.
Il dato della disoccupazione che scende al 5,9% nel mese di aprile 2025, letto in superficie, sembrerebbe voler raccontare una storia di ottimismo per il mercato del lavoro italiano. Tuttavia, come spesso accade nel nostro Paese, la realtà si cela dietro le pieghe delle statistiche, e quello che emerge è un quadro molto più sfaccettato e, per certi versi, preoccupante.
Non basta infatti aggrapparsi alla diminuzione dello 0,2% rispetto a marzo per tirare un sospiro di sollievo: i numeri vanno letti con attenzione, soppesati e messi in relazione tra loro, perché è proprio tra le righe che si nascondono le criticità più profonde.
Disoccupazione giù al 5,9%, ma cresce l’inattività: allarme nascosto nei dati
La vera novità, e non certo positiva, è rappresentata dall’aumento dell’inattività. In un solo mese, il numero degli inattivi tra i 15 e i 64 anni è cresciuto di ben 39.000 unità. Questo dato, apparentemente tecnico, racconta invece una storia amara: sempre più italiani hanno deciso di smettere di cercare lavoro, scegliendo – o forse subendo – l’uscita dal circuito produttivo. Non sono né occupati né disoccupati in senso stretto, ma semplicemente scomparsi dai radar delle statistiche ufficiali. E così, il calo della disoccupazione rischia di essere una mera illusione ottica, una coperta troppo corta che non riesce a scaldare davvero un Paese ancora in affanno.
Anche la composizione dell’occupazione merita una riflessione. Da un lato, crescono i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e gli autonomi (entrambi segnano un +2,2%), mentre dall’altro si registra un calo dei contratti a termine (-6,1%). Ma attenzione a non farsi ingannare: la tanto auspicata “stabilizzazione” non si traduce automaticamente in una migliore qualità del lavoro. Sotto la superficie, infatti, resta radicata una diffusa sensazione di precarietà, con molte persone che, pur avendo un impiego, si trovano in condizioni di vulnerabilità economica e sociale.
Precari costanti, più inattivi e fuga dei laureati
A farne le spese sono soprattutto i giovani e le donne. Il lavoro precario rimane una costante, con il 28,1% dei giovani sotto i 35 anni costretti ad accettare contratti a tempo determinato. E se si guarda al mondo femminile, il 13,7% delle donne lavora part-time contro la propria volontà, una scelta obbligata più che una reale opportunità di conciliazione tra vita privata e professionale. Il fenomeno del lavoro povero si fa così sempre più pressante, alimentando una categoria di occupati che, pur figurando nelle statistiche, si ritrova a vivere ai margini della sicurezza economica.
Non va dimenticato, poi, il nodo dei cosiddetti “working poor”: una fetta consistente di lavoratori che combina contratti a termine e part-time involontario, pari al 5,9% del totale. Un mix pericoloso, che rischia di compromettere non solo il presente, ma anche il futuro pensionistico di chi oggi si trova a barcamenarsi tra un impiego precario e l’altro. È una situazione che mina alle fondamenta la fiducia nel sistema e contribuisce ad alimentare una percezione di instabilità che si riflette anche nei consumi e nella capacità di progettare il proprio domani.
Cala la disoccupazione ma aumenta l’insicurezza tra giovani e donne
Ma la fragilità del mercato del lavoro italiano non si esaurisce qui. Un altro campanello d’allarme arriva dall’emorragia di giovani laureati, sempre più inclini a cercare fortuna all’estero. I dati parlano chiaro: la fuga dei laureati è aumentata del 21,2% rispetto al 2022, mentre i rientri sono calati del 4,1%. Questo squilibrio rappresenta una vera e propria emorragia di competenze, soprattutto in settori strategici come quello tecnologico e informatico, lasciando il tessuto produttivo nazionale sguarnito delle energie e delle idee necessarie per innovare e competere a livello internazionale.
Il risultato di questa combinazione di fattori è un paradosso tutto italiano: un Paese che, pur vedendo calare la disoccupazione, continua a fare i conti con una crescita economica stagnante, salari insufficienti rispetto al costo della vita e un’occupazione che si concentra ancora troppo nei settori a bassa produttività. Un miglioramento statistico che rischia di essere solo la punta dell’iceberg, dietro cui si nascondono fragilità strutturali sempre più difficili da ignorare.
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