Notiziario Notizie Italia 1,4 mila miliardi fermi sui conti correnti, una scelta sensata? Dipende da tre variabili

1,4 mila miliardi fermi sui conti correnti, una scelta sensata? Dipende da tre variabili

19 Giugno 2019 15:01

Quasi 1,4 mila miliardi di euro sono fermi in Italia sui conti correnti. Si tratta di una cifra enorme, pari a oltre la metà del colossale debito pubblico e non lontana dal prodotto interno lordo nazionale. Incertezza, sfiducia e soprattutto timore d’investire in strumenti finanziari spingono gli italiani a tenere i propri soldi fermi. Ma ha senso tenere questa quantità di risparmi senza farli fruttare?

Gli italiani restano tenaci formichine votate al risparmio. Nel 2018 la tendenza a risparmiare è aumentata del 18% rispetto a un anno prima. Ma per paura o scarsa conoscenza degli strumenti di investimento la grande maggioranza tiene quasi tutto sul conto corrente. Dei 4.287 miliardi di euro di ricchezza finanziaria in mano alle famiglie tricolori, infatti, sono ben 1.371 i miliardi parcheggiati su conti correnti e conti deposito, secondo i dati della Banca d’Italia. Una cifra enorme, pari a oltre la metà del debito pubblico e non lontana dal Pil. Di più: secondo l’Abi, nel 2018 i depositi della clientela residente sono aumentati di 32 miliardi rispetto all’anno precedente, cifra simile a quella della manovra di bilancio approvata a fine dicembre. Negli anni 2005-2006 il “polmone” di liquidità dei privati rappresentava il 23% del totale, nel 2009 è salito al 29%, oggi si è arrivati al 32%.

A inchiodare il prudentissimo risparmio tricolore sui conti bancari sono incertezza, scarsa fiducia nel futuro e soprattutto timore di investire in strumenti finanziari percepiti come rischiosi. Ha senso tenere tutto questo denaro sui conti deposito anziché investirlo in altri strumenti finanziari con l’obiettivo di farlo fruttare nel medio-lungo termine?

“Dipende da tre variabili: personali, anagrafiche ed economiche – risponde Alessandro Tentori, Chief Investment Officier di AXA IM – La prima è il profilo di rischio di un investitore, cioè il valore soggettivo che ciascuno dà al rischio legato all’investimento. La seconda variabile è l’età, perché una persona matura avrà un approccio diverso all’investimento rispetto a una più giovane. Infine, la scelta dipende anche da fattori squisitamente economici come i tassi di interesse reali, ossia quelli che tengono conto dell’inflazione.

Con la crescita zero in Italia, l’inflazione pesa. Durante la crisi, dal 2008 al 2009, il carovita è sempre restato al di sopra dei tassi della Banca Centrale Europea, in media dello -0,7%. Dal 1999 al 2009 invece la situazione era molto diversa, con il tasso medio reale che si è ritrovato in positivo a +0,8%, ma durante questo periodo per ben tre anni, dal 2003 al 2006, l’inflazione si è portata al di sopra del tasso (quindi durante quell’intervallo temporale il tasso reale era negativo). “Quindi, se avessi tenuto i soldi sul conto deposito durante il periodo dal 2003 al 2006, quando i tassi reali erano negativi, ne avrei persi”, sottolinea l’esperto.

E allora quale sarebbe la giusta percentuale di ricchezza finanziaria da destinare alla liquidità, ossia da tenere sul conto corrente, in un orizzonte di investimento di medio-lungo periodo? Secondo l’esperto di Axa IM, la liquidità nei fondi d’investimento in genere varia dal 5% al 7%, dipende dalle situazioni. “Per gli investitori privati la percentuale di liquidità può essere maggiore, ma anche in questo caso dipende dal profilo di rischio e dagli obiettivi personali”, conclude.