Referendum 2025: partecipazione stimata sotto il 50%, validità in bilico
Esploriamo i dati sui referendum 2025: affluenza prevista al 40%, disaffezione politica e voto estero incidono sul raggiungimento del quorum.
Nel panorama politico italiano, l’appuntamento dell’8 e 9 giugno 2025 con i referendum abrogativi si preannuncia come una di quelle sfide che rischiano di passare sotto traccia, ma che, al contrario, meritano la massima attenzione. Tuttavia, il grande interrogativo che aleggia riguarda il raggiungimento del quorum, quella soglia fatidica che, se non superata, rende vano ogni sforzo, ogni campagna, ogni dibattito acceso nelle settimane precedenti al voto.
Non è un mistero che la partecipazione elettorale sia ormai diventata la vera protagonista – o, meglio, l’assenza di essa. Secondo le rilevazioni più recenti, condotte da istituti specializzati come Izi, si prevede che poco più del 40% degli aventi diritto si recherà alle urne. Il rischio concreto è che la soglia del 50% degli elettori rimanga un miraggio, con tutte le conseguenze del caso: consultazione annullata e quesiti destinati a restare lettera morta.
Un referendum che evidenzia la distanza tra cittadini e istituzioni
È proprio nei referendum che la distanza tra cittadini e istituzioni si fa più evidente, con una partecipazione che negli ultimi trent’anni si è attestata mediamente a circa la metà rispetto alle elezioni politiche. Un dato che fa riflettere e che impone una seria riflessione su quali siano le reali motivazioni di questo progressivo allontanamento dalle urne.
Tra i fattori che contribuiscono a rendere ancora più complesso il raggiungimento del quorum c’è anche il cosiddetto voto estero. Dal 2003, infatti, quasi il 9% del corpo elettorale italiano – ossia i connazionali residenti all’estero – può esprimere la propria preferenza tramite voto per corrispondenza. Una possibilità che, sulla carta, avrebbe dovuto ampliare la partecipazione e rafforzare il legame tra cittadini e istituzioni. Eppure, i dati ci raccontano tutt’altra storia: la partecipazione degli italiani all’estero non ha mai superato il 23%, contribuendo così ad abbassare ulteriormente la media nazionale e a rendere il traguardo del quorum ancora più arduo da raggiungere.
Non si tratta solo di numeri, ma di segnali inequivocabili di una crisi profonda che investe il rapporto tra elettori e sistema democratico. L’astensionismo non è più un fenomeno marginale, ma una tendenza strutturale che rischia di svuotare di significato uno degli strumenti più importanti previsti dalla nostra Costituzione.
Alla luce di tutto ciò, il raggiungimento del quorum non è solo un requisito formale, ma un banco di prova per la vitalità della nostra democrazia. È il termometro di una società che deve scegliere se restare spettatrice o tornare protagonista delle proprie scelte. In gioco c’è molto più di una semplice consultazione: c’è la legittimità stessa dei referendum abrogativi come strumento di partecipazione e controllo, la possibilità di incidere davvero sulle scelte collettive, la capacità di riaccendere quella scintilla di fiducia che sembra essersi affievolita nel tempo.
Il prossimo appuntamento referendario sarà un test cruciale non solo per la tenuta del sistema, ma anche per la capacità di rinnovare il patto tra cittadini e istituzioni.
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