Pensioni 2026: l’1,4% di rivalutazione non basta a compensare l’inflazione
Rivalutazione pensioni 2026 all'1,4% secondo decreto MEF. Gli aumenti, da 3 a 17 euro, saranno erosi dalle tasse. CGIL chiede interventi strutturali.
Tre euro al mese per chi percepisce la pensione minima, nove per gli assegni medi, diciassette per quelli più elevati. Sono questi i numeri che raccontano la storia della rivalutazione pensioni 2026, fissata all’1,4% dal decreto MEF del 19 novembre 2025. Un incremento che, sulla carta, potrebbe sembrare una notizia positiva, ma che nella realtà rappresenta ben poco per milioni di pensionati italiani. Le stime iniziali parlavano di un’inflazione acquisita dell’1,7%, ma lo scostamento tra le previsioni e la decisione finale non è sfuggito a nessuno. Il governo ha dovuto fare i conti con i vincoli di bilancio, e il risultato è una rivalutazione che lascia l’amaro in bocca. La pensione minima salirà da 616,67 a 619,79 euro: un aumento che non compensa minimamente la perdita di potere d’acquisto accumulata negli anni.
Quando le tasse mangiano l’aumento
Il vero problema emerge quando si guardano oltre i numeri ufficiali. La CGIL non ha usato mezzi termini nel denunciare quello che ritiene un vero fallimento della rivalutazione: le imposte IRPEF e le addizionali regionali e comunali si porteranno via ogni centesimo di incremento pensioni, azzerando completamente il miglioramento del potere d’acquisto. È come se il governo, con una mano, desse e con l’altra togliesse. I pensionati si ritrovano nella paradossale situazione di vedere aumentare nominalmente l’assegno, ma di continuare a perdere capacità di spesa nella vita quotidiana.
Di fronte a questa situazione, la confederazione sindacale ha deciso di portare le rivendicazioni sul piano dello scontro diretto. La CGIL chiede interventi strutturali concreti: l’ampliamento della quattordicesima mensilità e l’estensione della no tax area. Non basta più rattoppare il sistema con piccole rivalutazioni insufficienti; occorrono misure vere e durature. Queste rivendicazioni stanno alla base dello sciopero generale convocato per il 12 dicembre 2025, una data che segna il culmine del malcontento accumulato.
Una questione centrale nell’agenda politica
La questione pensionistica rimane uno dei nodi più delicati della politica italiana, perché tocca direttamente le condizioni economiche di milioni di cittadini. Il divario tra le comunicazioni ufficiali iniziali e le decisioni finali sul decreto MEF rappresenta la difficoltà del governo nel conciliare le aspettative dei pensionati con i vincoli economici reali. Lo sciopero del 12 dicembre rappresenta il momento in cui questa tensione raggiungerà il suo apice, trasformando il malcontento in azione collettiva.
Se vuoi aggiornamenti su Pensioni inserisci la tua email nel box qui sotto: