Dove vanno le tasse che paghiamo? Lo squilibrio tra Stato e autonomie locali
Nel 2023 l'86% delle entrate fiscali è andato allo Stato centrale. Regioni e Comuni gestiscono il 44% della spesa ma hanno autonomia limitata.
Fonte immagine: Finanza.com
Gli osservatori più attenti evidenziano come la finanza pubblica italiana somigli a un grande mosaico scomposto, in cui le tessere si incastrano a fatica. Una fetta imponente delle entrate fiscali è accentrata nelle mani dello Stato centrale, lasciando alle amministrazioni locali un margine d’azione limitato.
Eppure, proprio a Regioni, Province e Comuni è affidata una porzione consistente della spesa complessiva, soprattutto in settori vitali come la sanità e i trasporti locali. Il nodo centrale è chiaro: come garantire risorse adeguate e stabili alle aree periferiche del Paese, in modo da offrire servizi uniformemente di qualità, indipendentemente dalla collocazione geografica?
Il paradosso delle Entrate
Quando si parla di gettito, la fotografia è impietosa. Lo Stato si aggiudica la gran parte delle imposte nazionali, dal peso determinante di IRPEF e IVA, mentre gli enti territoriali si accontentano di entrate minori come IMU e addizionali comunali. Questa asimmetria incide sulla spesa pubblica, poiché gli organi locali gestiscono un vasto ventaglio di servizi, ma senza la necessaria capacità di autofinanziarsi.
La prima volta che sentiamo parlare di autonomia finanziaria, si immagina subito un esperimento di decentralizzazione virtuosa. Nella pratica, invece, l’autonomia rischia di rimanere un miraggio se non si rivedono i meccanismi di calcolo per i trasferimenti e il ruolo delle tasse più rilevanti.
Dilemma dei trasferimenti statali
I trasferimenti, spesso basati su parametri legati al passato, fanno da tampone ma non risolvono il problema. Molti enti locali si ritrovano a brancolare tra fondi insufficienti e norme vincolanti, senza abbastanza spazio per elaborare politiche innovative.
Il quadro si complica esaminando la disparità regionale: territori come il Veneto e la Lombardia contribuiscono in maniera considerevole, mentre Calabria e Sicilia usufruiscono di maggiori flussi in entrata.
Sebbene questa dinamica sia comprensibile per attenuare storiche differenze di sviluppo, cresce la percezione di uno squilibrio che alimenta interrogativi sulle possibili evoluzioni della governance finanziaria e su chi debba sostenere il peso maggiore della solidarietà collettiva.
Sfide future e riforme
Appare sempre più urgente una revisione incisiva dell’assetto istituzionale, al fine di promuovere un’equilibrata redistribuzione delle risorse ed evitare che la fragilità di un sistema centralista finisca per rallentare la crescita complessiva.
Una pianificazione intelligente, supportata da analisi dei costi e da criteri di efficienza, potrebbe consentire a ogni territorio di sincronizzarsi più armoniosamente con gli altri, smussando angoli di inefficienza e riducendo gli sprechi.
Alla base di ogni riforma deve risiedere una logica di responsabilità verticale e orizzontale, indispensabile per configurare una finanza pubblica che risponda in modo dinamico alle esigenze locali e nazionali, senza trascurare l’obiettivo di un Paese più coeso.
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