Debiti fiscali, flop rottamazioni: incassato solo il 9,5% del previsto
Le rottamazioni fiscali in Italia non raggiungono gli obiettivi di incasso. Dati aggiornati, cause del fallimento e proposte per la riscossione dei crediti.
Fonte immagine: Finanza.com
L’inefficienza nel recupero dei debiti fiscali italiani emerge con prepotenza osservando il basso tasso di adesione effettiva e gli scarsi risultati finanziari. La percentuale del 9,5% di incassi rispetto alle somme previste fotografa un problema annoso che incide sulla stabilità delle casse pubbliche.
Sotto i riflettori c’è la prima rottamazione cartelle, avviata nel 2016, da cui ci si aspettava un gettito di 17,8 miliardi di euro, ma che ha portato in cassa soltanto 8,4 miliardi.
Da quell’inizio, la delusione è andata crescendo con risultati ben al di sotto delle previsioni, mentre il magazzino crediti non riscossi ha superato i 1.865 miliardi di euro a novembre 2024, in aumento del 36,5% rispetto a cinque anni fa.
Il sistema pare aver generato un circolo vizioso di aspettative disattese che mette in evidenza criticità strutturali nel recupero crediti fiscali e nell’organizzazione dei controlli. L’ultima Rottamazione Quater, con un tasso di decadenza del 49%, fa presagire l’ennesimo flop, lasciando aperto il dibattito su nuove strategie di riscossione.
I numeri delle precedenti iniziative
L’analisi dei singoli provvedimenti dimostra come ogni manovra abbia sistematicamente fallito gli obiettivi: la rottamazione bis del 2017, per esempio, ha fruttato appena 2,8 miliardi contro le stime di 8,5, mentre la rottamazione ter del 2018 si è fermata a 6,3 miliardi, a fronte di una previsione di 26,3. Risulta evidente che, oltre alle difficoltà economiche dei contribuenti, manca un meccanismo di compensazione efficace che consenta di intervenire sui debiti in modo tempestivo e risoluto.
Gli importi non riscossi continuano a erodere la credibilità dell’intero sistema tributario, alimentando la percezione di iniquità e scarsa efficienza. In questo clima, la costante revisione delle norme rischia di apparire più come un tentativo di rimediare alle falle del passato che come una vera programmazione.
La prospettiva di una riforma strutturale
Per arginare l’emorragia dei crediti fiscali, alcune proposte puntano a una partnership pubblico privato, sul modello adottato con successo da altri Paesi europei. Questa soluzione, auspicata da chi vede nell’apporto di operatori specializzati una possibilità di cambiamento, richiede un quadro normativo ben definito e la garanzia che la gestione di dati sensibili resti affidabile.
Le revisioni in corso ipotizzano anche rateizzazioni fiscali fino a 120 mesi, una novità che, se ben calibrata, potrebbe offrire maggiore sostenibilità ai contribuenti in difficoltà. Tuttavia, ogni ipotesi di riforma deve fare i conti con una macchina amministrativa spesso frammentata e priva di risorse sufficienti per un cambio di passo rapido.
Verso un nuovo modello di riscossione
La necessità di migliorare le performance del sistema non è più rinviabile, e la direzione sembra assai chiara: meno politiche emergenziali e più misure che premino la fedeltà fiscale e la trasparenza nei pagamenti.
L’esperienza degli ultimi anni, segnata da innumerevoli tentativi di sanatoria, insegna che senza adeguati controlli e politiche di prevenzione si finisce per riprodurre gli stessi fallimenti. È cruciale voltare pagina, adottando strumenti di riscossione più flessibili ma al contempo rigorosi, in grado di rispondere ai cambiamenti socio-economici e di recuperare quote di gettito oggi perse. Solo una revisione totale del metodo di recupero potrà restituire efficienza al sistema e allontanare il rischio di nuove voragini finanziarie.
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