Finanza Notizie Italia Altro che flat tax e addio riforma Fornero. Cgia: con prossimo governo rischio manovra da 18,5 miliardi

Altro che flat tax e addio riforma Fornero. Cgia: con prossimo governo rischio manovra da 18,5 miliardi

9 Aprile 2018 13:30

Al nuovo governo spetterà una manovra da almeno 18,5 miliardi di euro. Fanno tremare le previsioni dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che presentano un outlook decisamente sconfortante per il prossimo esecutivo, a dispetto di tutte le promesse sbandierate durante la campagna elettorale. D’altronde, lo dice lo stesso Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia.

“Purtroppo l’entità di questa manovra stride in maniera evidente con le promesse elettorali avanzate nelle settimane scorse da coloro che oggi scalpitano per guidare il Paese. Dopo l’ubriacatura che abbiamo subìto leggendo gli effetti positivi dovuti all’applicazione della flat tax, del reddito di cittadinanza o dalla cancellazione della legge Fornero, sarà interessante capire come, in pochi mesi, chi ci governerà recupererà oltre un punto di Pil”.

Ecco come la Cgia di Mestre spiega l’entità di tale manovra, che sarà necessaria per “evitare l’aumento dell’Iva, per correggere i nostri conti pubblici e per far fronte a uscite già impegnate”.

“In particolare – si legge nel comunicato – bisognerà recuperare 12,4 miliardi per sterilizzare l’aumento dell’Iva, che diversamente scatterà dal 1 gennaio 2019, altri 3,5 miliardi che l’Unione europea ci sta per chiedere, al fine di perseguire il pareggio di bilancio come previsto dal cosiddetto “Six pack” e, infine, ulteriori 2,6 miliardi per ‘coprire’ una serie di spese non differibili”.

Riguardo alle voci che costituiscono la manovra, “nel caso non si dovessero trovare 12,4 miliardi di euro, dal 1 gennaio 2019 l’aliquota Iva, attualmente al 10 per cento, salirebbe all’11,5 per cento; altresì, quella attuale del 22 per cento schizzerebbe addirittura al 24,2 per cento. Per quanto concerne gli impegni presi con Bruxelles, così come previsto dal ‘Six pack’, nel 2017 ci era stata chiesta una riduzione del rapporto deficit/Pil dello 0,5 per cento. Alla luce degli eventi sismici che hanno colpito il centro Italia e ai problemi legati ai flussi migratori provenienti dal Nord Africa, alla fine la Commissione Europea ha ridotto l’entità della richiesta allo 0,16 per cento del Pil (manovra correttiva di giugno 2017 da 1,6 miliardi di euro) . A consuntivo, tuttavia, sembrerebbe esserci uno scostamento di 0,5 punti percentuali rispetto alla correzione richiesta, anche perché è aumentata ancora la nostra spesa pubblica”.

“Pertanto – fa notare la Cgia – l’Unione europea starebbe per chiederci una manovra correttiva da 3,5 miliardi di euro. Infine, entro la fine del 2018 bisognerà trovare circa 2 miliardi di euro per il rinnovo del contratto di lavoro degli statali, ulteriori 500 milioni di spese ‘indifferibili’ e altri 140 milioni per evitare l’aumento delle accise sui carburanti a partire dal 1 gennaio del 2019″.

Così il Segretario della CGIA Renato Mason:

“Sebbene l’anno scorso abbiamo toccato il record di crescita degli ultimi 7 anni, comunque siamo quelli che nella Ue sono cresciuti meno. Secondo le previsioni di Bruxelles questa tendenza continuerà anche nel biennio 2018-2019: saremo il paese europeo con la crescita economica più contenuta. Quest’anno, in particolare, l’aumento del Pil sarà dell’1,5 per cento per scendere all’1,2 per cento nel 2019. Nonostante la congiuntura internazionale sia positiva l’Italia fatica a crescere, trascinandosi tutti i problemi che ci affliggono ormai da più decenni”.

Cosa fare dunque per crescere? Per l’Ufficio Studi della Cgia è importante “tornare ad investire, visto che negli ultimi 10 anni (2007-2017) il nostro Paese ha registrato una caduta verticale di questi ultimi del 21 per cento”.

“Oltre a puntare sui processi di digitalizzazione del comparto produttivo è altresì indispensabile intervenire nella scuola e nella formazione, nei settori ad alta innovazione tecnologica ma, anche, nella messa in sicurezza del nostro Paese”.

Questo perchè sono gli stessi dati ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ad aver messo in evidenza come ben l’88 per cento dei comuni italiani abbia “almeno un’area classificata ad elevato rischio idrogeologico”. C’è inoltre il grave rischio sismico, certificato dall’Associazione ISI-Ingegneria Sismica Italiana, secondo cui, segnala ancora l’associazione, “il 40 per cento delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica è ubicata in una zona ad elevato rischio sismico”.

Infine l’Istat “ci segnala che quasi il 40 per cento dell’acqua va persa a causa dell’obsolescenza della nostra rete acquedottistica pubblica”.

L’associazione si sofferma anche sull’importanza della golden rule. Nel ricordare che il calo degli investimenti pubblici avvenuti in questo ultimo decennio “sono stati condizionati anche dai vincoli di bilancio imposti da Bruxelles”, l’Ufficio Studi scrive che “esiste una regola aurea, ancora inutilizzata, che potrebbe consentire ai paesi membri di superare questo ostacolo”.

La “golden rule”, per l’appunto, “che è una regola di bilancio di semplice enunciazione che, in estrema sintesi, consentirebbe solo agli investimenti pubblici in conto capitale di essere finanziati in disavanzo. Per fare questo, ovviamente, l’Italia avrebbe dovuto imporre nell’agenda europea questo argomento, trovare le alleanze e convincere coloro che la pensano diversamente di cambiare opinione, affinché questa opportunità diventasse parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. La partita rimane aperta – conclude la nota – e il prossimo Governo non potrà esimersi dall’affrontare anche questa questione”.

Mentre non si conosce ancora il futuro del governo italiano, con il M5S e la Lega che fanno passi avanti per corteggiarsi per prendere poco dopo le distanze, un avvertimento contro un esecutivo frutto di un asse Di Maio-Salvini arriva da Davide Serra, numero uno di Algebris, intervistato da Affari Italiani.

Serra prevede un boom del debito con M5S e Lega e definisce le loro proposte “irrealizzabili”. Allo stesso tempo, Davide Serra ritiene “corretto e democratico, visto che sono i due partiti che hanno vinto le elezioni, che ora M5S e Lega si assumano la responsabilità di governare, avendo votato in passato in maniera simile per i due terzi della produzione legislativa delle Camere”.

E, “visto che gran parte delle promesse elettorali sono irrealizzabili”, Serra teme chei 5 Stelle vogliano coinvolgere in una coalizione il Pd per poi affibbiargli la responsabilità di ciò che non riusciranno a fare”

“Siamo un Paese che guadagna 100 e che da 40 anni spende 103, portando il debito a un livello molto elevato. I due partiti che hanno vinto le elezioni non vogliono spendere solo 3 all’anno, ma con flat-tax, reddito di cittadinanza e revisione della legge Fornero almeno il 5-7. C’è un piccolo problema: nessun investitore poi presterà più i soldi all’Italia. Al netto di grossi tagli alla spesa, Lega e M5S non riusciranno a rispettare i loro programmi elettorali perché non ci sono le risorse per farlo. Chi voglio a Palazzo Chigi? Per fare una metafora calcistica, gli investitori non tifano per l’allenatore, ma guardano alla squadra”.

Ovvero, guardano alla “situazione economica del Paese”. E “chiunque venga – continua Serra nell’intervista dello scorso 7 aprile rilasciata ad Affari Italiani da Cernobbio, in occasione del workshop Amrbosetti, “ha tre numeri con cui cimentarsi: i 22 milioni di posti di lavoro che sono diventati 23, il Pil salito a due trilioni di euro e il rapporto debito/Pil che deve rimanere costante o scendere. Chiunque arriverà a Palazzo Chigi dovrà migliorare queste cifre”