Finanza Personale ChatGPT fa male al cervello? Ecco cosa dice il MIT

ChatGPT fa male al cervello? Ecco cosa dice il MIT

Il MIT esplora il "debito cognitivo" da ChatGPT, evidenziando rischi educativi e impatti sul mercato delle tecnologie educative e dell'AI.

28 Giugno 2025 09:00

Nel mondo iperconnesso di oggi, dove la tecnologia detta i ritmi e le abitudini quotidiane, si fa strada una nuova inquietudine: l’ombra lunga del debito cognitivo che rischia di accompagnare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale.

A lanciare l’allarme è uno studio fresco di pubblicazione targato MIT, che mette sotto la lente d’ingrandimento gli effetti, spesso sottovalutati, di strumenti come ChatGPT sulle nostre capacità mentali.

Non si tratta di semplice prudenza accademica, ma di una riflessione urgente sulle conseguenze che queste tecnologie educative possono avere sul nostro modo di pensare, apprendere e persino riconoscere il valore del nostro lavoro intellettuale.

ChatGPT e il test del MIT: cervelli a confronto

L’indagine del Massachusetts Institute of Technology ha coinvolto 60 studenti universitari, monitorati per quattro mesi tramite sofisticate tecniche di elettroencefalografia. I partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi: chi si affidava solo alle proprie risorse mentali, chi utilizzava motori di ricerca e chi invece si appoggiava a ChatGPT.

I risultati sono tutt’altro che trascurabili: chi ha scritto senza alcun supporto artificiale ha mostrato una connettività cerebrale più solida e un maggiore senso di appartenenza rispetto al proprio lavoro.

Al contrario, chi ha delegato la scrittura all’AI ha registrato una netta diminuzione dell’attività neuronale e, fatto ancora più sorprendente, una difficoltà crescente nel distinguere il proprio contributo personale all’interno dei testi prodotti.

Debito cognitivo: un rischio sottovalutato

Il concetto di debito cognitivo è destinato a diventare un termine chiave nel dibattito sulle tecnologie educative. Quando gli studenti passavano dall’uso di ChatGPT al lavoro autonomo, gli studiosi hanno osservato una significativa riduzione dell’attivazione cerebrale, come se la mente si disabituasse gradualmente all’esercizio critico e creativo.

È un po’ come se affidarsi troppo spesso all’intelligenza artificiale rischiasse di atrofizzare quei muscoli mentali che ci rendono unici. Il vero nodo della questione, quindi, non è tanto la presenza dell’AI nelle nostre vite, quanto la sua capacità di modificare in profondità le nostre abitudini cognitive, a scapito della nostra autonomia intellettuale.

ChatGPT: implicazioni per il futuro delle tecnologie educative

Le implicazioni di questa ricerca sono tutt’altro che marginali: se il trend non verrà invertito, potremmo assistere a un cambiamento epocale non solo nell’ambito dell’istruzione, ma anche nel modo in cui la società percepisce il valore del pensiero critico e della creatività individuale.

Le aziende che sviluppano tecnologie educative e gli investitori sono già con il fiato sospeso: la prospettiva di nuove regolamentazioni non è più un’ipotesi remota. La sfida sarà quella di trovare un equilibrio tra i vantaggi innegabili dell’intelligenza artificiale e la necessità di preservare la nostra capacità di pensare, riflettere e imparare senza scorciatoie.

In un’epoca in cui tutto sembra a portata di click, il vero valore aggiunto potrebbe tornare a essere la fatica del ragionamento autonomo, il piacere della scoperta personale e la consapevolezza del proprio percorso di crescita.

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