I dazi USA ci costano quanto il ponte sullo Stretto di Messina
Dazi USA al 15%: impatto su export italiano, perdita stimata fino a 15 miliardi di euro annui, effetti su imprese e occupazione.
Fonte immagine: Finanza.com
La situazione si è fatta critica: l’imminente introduzione dei dazi del 15% sulle importazioni italiane verso i Stati Uniti, prevista per agosto 2025, sta generando un clima di allarme tra imprese e analisti. Secondo le ultime stime, l’impatto economico potrebbe superare i 14 miliardi di euro l’anno, una cifra paragonabile al costo di un ponte sullo stretto di Messina che svanisce con cadenza annuale.
Il conto alla rovescia resta impietoso: appena 14 mesi per prepararsi a uno scenario che potrebbe compromettere la stabilità di diversi settori, con previsioni già negative sull’occupazione e sulla tenuta del sistema produttivo nazionale.
Tensione sui mercati esteri
Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti stanno già subendo un calo significativo: si parla di una perdita annua stimata in circa 2,4 miliardi di euro per il 2025. A rendere preoccupante la prospettiva è il ruolo cruciale che il mercato americano riveste per le nostre aziende, spesso orientate ai prodotti di fascia medio-alta o alta.
Le società più colpite rischiano di dover sacrificare la propria competitività, tagliando costi e rinunciando a occasioni di innovazione. In tale quadro, il timore è che il rallentamento si trasformi in una vera e propria crisi di sistema, capace di innescare riflessi negativi su tutta la filiera.
Pressione sui profitti e possibili trasferimenti
Per restare sul mercato, le imprese potrebbero doversi concentrare sulla riduzione dei margini di profitto, operazione che si somma alla recente svalutazione del dollaro e all’incertezza generale. Il fenomeno del trade diversion, ossia lo spostamento delle attività produttive verso altri Paesi o direttamente negli Stati Uniti, è un rischio concreto, dettato anche dall’esigenza di eludere costi doganali troppo elevati.
Uno spiraglio di ottimismo emerge dalle analisi della Banca d’Italia, che sottolinea come il 92% delle merci italiane vendute oltreoceano risponda a standard qualitativi elevati, ma ciò potrebbe non bastare a contenere del tutto le ricadute sui fatturati.
Prospettive e linee di difesa
Un dato che preoccupa è la stretta correlazione tra il fatturato totale delle aziende e il volume di vendite in USA, pari al 5,5%. Con una redditività operativa attorno al 10%, l’erosione dei profitti rischia di diventare marcata, soprattutto se l’aumento dei costi dovesse perdurare. Servono strategie mirate per proteggere la competitività sul mercato americano, per esempio investendo nella differenziazione dei prodotti e aderendo a nuove forme di cooperazione internazionale.
Allo stesso tempo, non va sottovalutata l’importanza di un intervento governativo che possa sostenere le imprese più esposte e salvaguardare un tessuto industriale di fondamentale rilevanza per l’economia italiana.
Se vuoi aggiornamenti su Fisco inserisci la tua email nel box qui sotto: