Alexa in tribunale: l’assistente vocale può diventare una prova?
Scopri come gli smart speaker come Alexa stanno diventando prove legali nei tribunali e i rischi per la privacy.
Nelle nostre case, ormai sempre più spesso, capita di rivolgersi a Alexa con la stessa naturalezza con cui si chiede un favore a un vecchio amico. Eppure, ciò che fino a ieri sembrava un semplice vezzo tecnologico, oggi si trasforma in una questione ben più spinosa, capace di scomodare perfino i banchi del tribunale.
La realtà è che gli smart speaker, questi assistenti digitali che hanno fatto breccia nella nostra quotidianità, stanno assumendo un ruolo da veri protagonisti anche nei meandri del diritto. Non è più fantascienza pensare che una voce sintetica possa essere chiamata a “raccontare” ciò che ha sentito tra le mura domestiche, magari diventando la chiave di volta di un processo.
Basta volgere lo sguardo oltreoceano per rendersene conto: il celebre caso “State of Arkansas v. James Bates” ha fatto scuola, portando le registrazioni legali raccolte da un dispositivo Amazon Echo direttamente tra le prove di un’indagine per omicidio.
Una svolta epocale, che ha scatenato un vespaio di domande sulla legittimità di queste registrazioni e sulla loro ammissibilità come prove in sede giudiziaria. D’altronde, chi avrebbe mai pensato che un innocuo comando vocale potesse diventare un elemento centrale per la ricostruzione dei fatti?
Alexa in tribunale: la situazione italiana
In Italia, il discorso si fa ancora più interessante. Il nostro codice di procedura penale, all’articolo 234, apre la porta all’utilizzo di documenti informatici come elementi probatori, purché si possa garantire la loro autenticità e liceità. In altre parole, ciò che conta davvero è che le informazioni raccolte siano fedeli agli eventi e che il dispositivo da cui provengono sia considerato affidabile. E qui la Cassazione ci mette il suo timbro: le registrazioni audio possono benissimo entrare nel fascicolo processuale, a patto che non si trasformino in un terreno minato per i diritti delle persone coinvolte.
Naturalmente, a mettere il bastone tra le ruote ci pensa la questione della privacy. Qui si entra in un vero e proprio campo minato, dove il confine tra sicurezza e invasione della sfera privata rischia di diventare sempre più sottile. Immaginiamo la scena: Alexa che registra una conversazione tra terzi, magari in assenza del proprietario. In casi come questi, il rischio di incorrere in una violazione dell’articolo 615 bis del codice penale è tutt’altro che remoto. Senza dimenticare le complicazioni legate al GDPR, che impone regole ferree sul trattamento dei dati personali e mette in guardia contro la raccolta indiscriminata di informazioni sensibili.
Non si può negare che questa evoluzione tecnologica stia riscrivendo, giorno dopo giorno, i confini tra innovazione, privacy e giustizia. I smart speaker come Alexa, nati come strumenti di comodità, stanno ormai indossando i panni di veri e propri attori sulla scena del diritto contemporaneo. Da un lato, offrono nuove opportunità investigative, permettendo di acquisire dettagli preziosi e spesso decisivi per la ricostruzione dei fatti. Dall’altro, sollevano dubbi profondi sulla legittimità e sull’opportunità di introdurre nella sfera processuale elementi che, per loro natura, sono frutto di una sorveglianza costante e pervasiva.
Dubbi sulla privacy
La domanda che sorge spontanea è: fino a che punto siamo disposti a sacrificare la nostra privacy sull’altare della verità giudiziaria? È davvero accettabile che le nostre conversazioni più intime, magari captate per errore da Alexa, possano essere utilizzate come prove in tribunale? O si rischia di scivolare verso una società in cui ogni parola detta tra le mura di casa può diventare oggetto di scrutinio pubblico?
In questo scenario in continua evoluzione, il compito di legislatori e giudici si fa sempre più complesso. Tocca a loro trovare il giusto equilibrio tra le esigenze di giustizia e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. Nel frattempo, a noi non resta che prendere atto che Alexa e soci non sono più soltanto simpatici aiutanti domestici, ma veri e propri testimoni silenziosi, pronti a far sentire la loro voce anche quando meno ce lo aspettiamo.
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