Stipendi da fame per 6 milioni di italiani: si vive con mille euro al mese
Nel 2023 il lavoro povero in Italia colpisce 1 lavoratore su 10. Scopri i dati, le cause e le categorie più vulnerabili.
Fonte immagine: ANSA
L’Italia si ritrova, ancora una volta, a fare i conti con un fenomeno che sembra non voler mollare la presa: stipendi da fame. Non è una novità, ma ogni anno i numeri sembrano confermare una tendenza che si radica sempre più nel tessuto sociale ed economico del nostro Paese.
Il 2023, infatti, ci restituisce una fotografia impietosa: quasi 10 milioni di lavoratori nel settore privato si trovano a guadagnare meno di 25.000 euro lordi all’anno. E il dato che colpisce di più è quello relativo a oltre 6 milioni di persone che non arrivano nemmeno a 15.000 euro, ossia circa mille euro netti al mese. Se poi si scende ancora nella scala retributiva, si scopre che ben 2,36 milioni di lavoratori – parliamo del 13,6% del totale – percepiscono meno di 5.000 euro l’anno: una cifra che fa davvero riflettere.
Questa situazione, lungi dall’essere un’emergenza passeggera, si configura ormai come un problema strutturale. L’Italia si piazza tra i peggiori in Europa per incidenza di occupati che, pur avendo un impiego, non riescono a garantirsi una vita dignitosa. Il 9,9% degli occupati italiani rientra nella categoria dei “lavoratori poveri” con stipendi da fame, contro una media europea dell’8,3%. E qui entra in gioco una molteplicità di fattori: dalla proliferazione di contratti temporanei al part-time involontario, dai ritardi nei rinnovi contrattuali fino alle retribuzioni orarie che spesso sfiorano la soglia dell’inaccettabile.
Le cause degli stipendi da fame
Ma il vero nodo gordiano degli stipendi da fame resta quello del part-time involontario. Nel 2023 si è raggiunto un record negativo nell’Eurozona: il 54,8% dei lavoratori a orario ridotto avrebbe voluto lavorare di più, ma non ha trovato opportunità. Una condizione che non solo limita la crescita professionale, ma crea anche un senso di precarietà che si riflette sulla qualità della vita. Non è un caso se l’83,5% dei contratti cessati è durato meno di un anno, e il 51% addirittura meno di tre mesi: una vera e propria giostra di rapporti di lavoro mordi e fuggi, che non consente mai di mettere radici.
Altro aspetto che merita una sottolineatura è quello della retribuzione oraria. Nel 2023 circa 2,8 milioni di lavoratori hanno guadagnato meno di 9,5 euro lordi all’ora, e di questi ben 2,4 milioni vivono stabilmente in questa condizione di sottoretribuzione. Numeri che fanno capire quanto sia urgente affrontare il tema della giusta retribuzione e della dignità del lavoro, perché dietro ogni cifra ci sono storie di persone che ogni giorno si trovano a fare i conti con scelte obbligate e rinunce.
Le soluzioni
In questo contesto, il dibattito si accende tra chi propone l’introduzione del salario minimo per legge e chi invece continua a scommettere sulla contrattazione collettiva come strumento principe per tutelare i lavoratori. Ma una cosa è certa: senza interventi decisi e tempestivi, il rischio è quello di lasciare milioni di persone intrappolate in una spirale di insicurezza e precarietà, senza prospettive di riscatto.
Il tema del lavoro povero non può più essere relegato a semplice voce nelle statistiche o a materia di dibattito politico: è una questione che tocca la tenuta sociale del Paese e la sua capacità di offrire opportunità reali a chi lavora. E allora, se davvero si vuole invertire la rotta, occorre agire su più fronti: dal rafforzamento dei contratti stabili alla valorizzazione della retribuzione oraria, dalla lotta al part-time involontario all’introduzione di uno stipendio minimo che sia davvero efficace. Perché il lavoro deve tornare a essere sinonimo di dignità, e non di fatica senza speranza.
Se vuoi aggiornamenti su Lavoro inserisci la tua email nel box qui sotto: