Università italiane, boom di iscrizioni ma stipendi dei laureati restano bassi
Analisi AlmaLaurea 2025: trend iscrizioni universitarie, squilibri di genere nelle STEM e dati su occupazione e retribuzioni dei laureati in Italia.
Fonte immagine: pexels
Non è un mistero che le dinamiche dell’università italiana siano in continua evoluzione, e il recente Rapporto AlmaLaurea ne offre uno spaccato estremamente interessante. Con iscrizioni universitarie che hanno toccato quota 345.000 nel 2024, il panorama degli atenei risulta dominato dagli studenti provenienti dai licei, circa 73%, a fronte di un esiguo 3% in arrivo dagli istituti professionali.
Se da un lato le discipline più scelte confermano l’appeal di economia, ingegneria, medicina, giurisprudenza e ambito umanistico, dall’altro lato emerge con forza il ruolo delle famiglie: ben 30% dei neolaureati dichiara infatti di avere almeno un genitore con titolo di studio universitario. Questo spiega in parte l’ampio divario territoriale, con quasi la metà degli iscritti che risiede al Nord e solo 27% proveniente dal Sud e dalle Isole, evidenziando possibili ostacoli logistici ed economici che condizionano l’accesso agli studi.
Le dinamiche del corpo studentesco
Il dato che più colpisce riguarda il squilibrio di genere in settori specifici: sebbene il numero di studentesse totali sia in aumento, soltanto 22% delle donne si dirige verso le discipline STEM. Una quota decisamente ridotta che mette in risalto come permanga una certa reticenza culturale nell’associare le competenze scientifiche al talento femminile.
Nonostante ciò, è rilevante sottolineare come la progressiva apertura di corsi STEM a approcci multidisciplinari possa costituire una porta d’ingresso cruciale per invertire la tendenza. In parallelo, occorre considerare altri fattori che incidono sulla scelta degli studi, come la passione personale o la prospettiva di sbocchi professionali, spesso più influenti rispetto ai suggerimenti ricevuti da insegnanti o orientatori.
L’orizzonte professionale dei laureati
I dati relativi all’occupazione laureati sembrano incoraggianti nel medio termine: a cinque anni dal conseguimento del titolo, oltre l’85,5% dei laureati di primo livello e l’88,5% dei magistrali risulta inserito nel mercato del lavoro.
Emerge però un aspetto che non si può ignorare: le retribuzioni laureati rimangono piuttosto contenute, con una media mensile netta attorno ai 1.500 euro per chi ha una laurea triennale e 1.600 euro per chi ha completato il ciclo magistrale. Di fronte a queste cifre, molti si interrogano sull’effettiva capacità del titolo di studio di garantire un adeguato ritorno economico, specie in contesti ad alta competitività.
Una riflessione sul futuro accademico
Sul versante dell’istruzione superiore, la questione chiave resta l’equità dell’accesso e la diffusione di percorsi formativi capaci di intercettare le richieste del mondo del lavoro contemporaneo. Da un lato, è necessario ridurre gli squilibri territoriali e valorizzare il potenziale di regioni meno servite da atenei strutturati; dall’altro, è fondamentale alimentare un circuito virtuoso di dialogo tra università, imprese e settori di ricerca avanzata.
In questo percorso, la sensibilizzazione su tematiche di inclusione, specialmente per le donne in ambito tecnico-scientifico, diviene un tassello essenziale per rafforzare la competitività e l’innovazione del sistema universitario italiano.
Se vuoi aggiornamenti su Busta paga inserisci la tua email nel box qui sotto: