Finanza Notizie Mondo Fed: il primo rialzo dei tassi dal 2018 avviene in tempi di guerra. Powell lancia battaglia contro rischio stagflazione

Fed: il primo rialzo dei tassi dal 2018 avviene in tempi di guerra. Powell lancia battaglia contro rischio stagflazione

16 Marzo 2022 10:55

Giornata storica per la Fed che, per la prima volta dal 2018, alzerà oggi i tassi sui fed funds dal range attuale compreso tra lo zero e lo 0,25%, certificando l’inizio di una battaglia contro l’inflazione a rischio stagflazione che potrebbe durare almeno fino all’anno prossimo: la stretta monetaria viene data ormai come sicura, e gli strategist sono concordi nel prevedere per la giornata di oggi, mercoledì 16 marzo, un rialzo dei tassi di 25 punti base.

L’annuncio arriverà alle 19 ora italiana, seguito dalla conferenza stampa in cui il numero uno della banca centrale americana, Jerome Powell, prenderà la parola.

Grande è la trepidazione per il dot-plot e le previsioni aggiornate sul trend del Pil e dell’inflazione made in Usa, in un contesto economico globale che ha cambiato improvvisamente faccia con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin.

La guerra in corso presenterà ben presto il conto all’economia mondiale.

Le sanzioni imposte dall’Occidente contro Mosca avranno ovviamente un effetto boomerang. Per ora lo shock della guerra si è manifestato soprattutto con una forte impennata dei prezzi del petrolio, del gas naturale, dei metalli e, in generale, delle commodities, di cui la Russia è tra le principali esportatrici al mondo.

E’ anche vero che forte è stato il ritracciamento dei prezzi delle materie prime, nelle ultime sedute, sulla scia della speranza di un accordo tra Mosca e Kiev per il cessate il fuoco in Ucraina.

I prezzi del petrolio WTI e Brent sono capitolati anche sotto quota $100 arrivando a segnare un calo di oltre 40 dollari rispetto ai picchi a 139 dollari toccati settimana scorsa, per l’esattezza il 7 marzo. La ritirata dei prezzi è stata scatenata non solo dalle speranze di un allentamento delle tensioni geopolitiche, ma anche dai lockdown imposti in Cina, a causa del boom dei nuovi casi di Covid.

Detto questo, la volatilità dei mercati finanziari è estrema e il pericolo di stagflazione è reale, in un contesto in cui giocano diversi fattori, come l’embargo Usa sul petrolio e sul gas russi.

Cosa deciderà dunque di fare la Fed di Jerome Powell, non solo oggi ma nei mesi a venire?

Francesco Pesole, FX Strategist di ING, scrive in una nota che le previsioni sono di una stretta di 25 punti base nella giornata di oggi e di una indicazione di ulteriori strette di 90 punti base nel resto dell’anno. A suo avviso, è questa la tabella di marcia che emergerà dal dot-plot, il documento che riporta le stime sul trend dei tassi da parte di ogni singolo esponente del Fomc, il braccio di politica monetaria della Federal Reserve.

Per Pesole, la Fed riconoscerà “un certo grado di incertezza legato al conflitto in Ucraina”.

In ogni caso, “la mossa (di oggi) è del tutto scontata dai mercati, il che significa che l’impatto sul forex potrebbe essere contenuto, e i principale driver del mercato dovrebbero rimanere i negoziati in corso tra la Russia e l’Ucraina”.

Fed, BlackRock: ‘questa guerra ha cambiato paradigma inflazione’

Proprio questa guerra, inevitabilmente, dovrebbe tuttavia secondo Rick Rieder, chief investment officer della divisione di reddito fisso globale di BlackRock, costringere la Fed a procedere a “un downgrade significativo delle stime sul Pil, rivedendo al rialzo in modo altrettanto significativo le previsioni sull’inflazione. Più esponenti, inoltre, parleranno di stagflazione”.

“Credo che il mondo sia davvero cambiato con questa guerra – ha spiegato Rieder, stando a quanto riporta un articolo della Cnbc – (senza la guerra), l’inflazione avrebbe rallentato il passo entro al metà di quest’anno, scendendo a i livelli più normali”.

Ma “l’impatto sull’energia, sulle commodities, sui beni alimentari è reale. Credo che (la guerra) abbia cambiato davvero il paradigma dell’inflazione, peggiorandolo”.

Intervistato anche lui dalla Cnbc Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics, teme un “irrigidimento significativo delle condizioni finanziarie”, e vede la Fed “cercare disperatamente di trovare un equilibrio per scongiurare la recessione“, aggiungendo che “davvero dipende da cosa accadrà al mercato azionario, ai credit spread, al sentiment…e da qualsiasi altro problema geopolitico dovesse presentarsi”.

Zandi non crede in una recessione, anche se sottolinea che il rischio che si presenti nei prossimi 12-18 mesi è salito a 1 su 3.

“La reazione immediata della Fed sarà quella di combattere l’inflazione ma, andando avanti, la banca centrale dovrà considerare la crescita (del Pil) inferiore provocata dai prezzi del petrolio più alti” che, inevitabilmente, zavorreranno i consumi. Allo stesso tempo, secondo Zandi “la Fed è già in ritardo”.

Riguardo alle stime sul PIl Usa, BlackRock ritiene che la Fed taglierà l’outlook di crescita previsto per il 2022 a +2,8% dall’espansione pari a +4% attesa a dicembre.

Sull’inflazione Jim Caron, responsabile della divisione di reddito fisso globale di Morgan Stanley Investment Management, fa notare che “l’economia americana sta per centrare velocemente il target della piena occupazione”, e che “l’inflazione è davvero troppo alta. Sommando le cose, il risultato è che i tassi devono essere alzati. Il livello di incertezza è straordinario e la Fed ha detto che vuole agire per rimuoverlo”.

Dunque, la banca centrale sarà “hawkish per definizione, ma c’è un pericolo. Mi aspetto già che dal dot-plot emergano altre cinque o sei strette, ma ci sarà chi dirà che non sarà abbastanza”.

Da un sondaggio Cnbc Fed è emerso che, secondo gli economisti interpellati, la Fed alzerà in media i tassi, quest’anno, 4,7 volte fino all’1,4%, procedendo ad altre strette fino al 2% entro la fine del 2023. Quasi la metà degli intervistati ha detto di credere che la banca centrale procederà a 5-7 rialzi dei tassi nel 2022.

Fed in tempi di guerra: Powell riuscirà a scongiurare recessione?

Come riuscirà tuttavia Jerome Powell ad alzare i tassi senza mettere a repentaglio l’economia Usa? Il punto è che, se la Fed frenerà il ciclo di politica monetaria restrittiva, l’inflazione piegherà l’economia. Ma se alzerà troppo i tassi, l’economia potrebbe rallentare.

I numeri sul sentiment dei consumatori sono già precipitati in modo drammatico – ha ricordato Rieder di BlackRock – e questo rende il lavoro della Fed ancora più difficile. Non credo che la Fed accelererà il passo: alla fine dovrà rallentarlo”.

Rieder tiene a precisare tuttavia che, a suo avviso, l’economia americana, i consumi e le aziende rimangano in ottima forma.

“Credo – ha detto- che parlare di recessione sia molto prematuro, ma parlare di un rallentamento economico significativo non solo non sia prematuro, ma doveroso in uno scenario di base”.

Lo strategist Pesole di ING crede invece che, almeno oggi, “Powell confermerà l’impegno della Fed a combattere l’inflazione inviando un messaggio di politica monetaria hawkish, nonostante i recenti ostacoli alla crescita”.

Le conseguenze sul forex, di conseguenza, potrebbero essere “nel medio termine positive per il dollaro.

Detto questo, “a meno di una sorpresa al rialzo nel dot-plot, sospettiamo che l’impatto sul dollaro successivo alla riunione del Fomc possa essere piuttosto contenuto e di breve durata, lasciando la valuta Usa in qualche modo vulnerabile all’attuale contesto di risk-on. Deve essere riconosciuto, però- ha avvertito ING – che questo contesto di risk-on dipende principalmente da un certo ottimismo sui negoziati per la pace e non solo da ottimismo su una qualsiasi forma di de-escalation, e che dunque esiste sicuramente il rischio che i mercati si siano mossi troppo velocemente (con il rischio di rimanere delusi). In sostanza, il dollaro potrebbe far fatica a riprendersi nella giornata di oggi, ma i rischi sembrano orientati al rialzo“.

Per l’euro-dollaro, gli analisti di ING prevedono una stabilizzazione sopra quota $1,10.

Fed: ma i mercati stanno commettendo un errore di valutazione

Dal canto suo Adrian Owens, Investment Director Global Macro e Currency Fixed Income di GAM, conferma che “il conflitto Russia-Ucraina ha accresciuto l’incertezza in diverse aree” e che “un aspetto su cui possiamo essere più sicuri è l’inflazione, che quasi certamente sarà esacerbata dalla guerra in Ucraina”.

Dunque, in generale, “i banchieri centrali devono affrontare sfide significative perché, anche se la crescita sta reggendo in generale per ora, i rischi intorno ad essa sono chiaramente aumentati. Crediamo che la guerra in Ucraina accelererà un processo che stiamo osservando da un po’ di tempo, cioè un deterioramento del trade off tra crescita e inflazione”.

Cosa significa questo per i mercati?

Owens ricorda che “le ultime due settimane hanno mostrato che gli investitori continuano a preoccuparsi dell’inflazione; quindi, i breakeven dell’inflazione hanno continuato a registrare una buona performance. Di solito, in una situazione come quella attuale, le obbligazioni si riprendono, ma non è stato così. Le obbligazioni hanno tentato di recuperare quando sono scoppiate le ostilità tra Russia e Ucraina, ma da allora gli investitori si sono convinti che, anche se le prospettive di crescita si stanno deteriorando, i banchieri centrali dovranno agire. Di conseguenza, abbiamo visto un calo dei tassi front-end. Guardando al futuro, pensiamo ancora che i tassi di mercato non corrispondano perché, a meno che i banchieri centrali non siano preparati a guardare attraverso l’inflazione, non c’è ancora molto da prezzare. Ciò che viene prezzato, tuttavia, è l’opinione che l’inflazione sarà finita nei prossimi 18 mesi e per allora le banche centrali avranno dovuto iniziare a tagliare i tassi. Negli Stati Uniti, per esempio, nel corso del prossimo anno gli investitori stanno prezzando 175 punti base di aumenti dei tassi. In due anni aumenterà a 195, ma entro il terzo anno ci si aspetta che i tassi comincino ad essere tagliati. Questo è ancora più evidente nel Regno Unito, dove sono previsti meno aumenti e i tagli in arrivo nel terzo anno sono ancora più aggressivi. Noi crediamo che questo punto di vista sia sbagliato, perché anche al picco dei tassi nell’anno due, essi non saranno affatto vicini a un livello neutrale. Questo non sarà sufficiente a rallentare l’inflazione, a nostro avviso”.

“Si può essere in disaccordo con questo punto di vista se si crede che i banchieri centrali accettino che l’inflazione sarà molto più alta per molto più tempo – e in una certa misura pensiamo che sia così – continua il manager di GAM – Abbiamo ascoltato i commenti della Banca Centrale Europea (Bce) e della Federal Reserve (Fed) che dicono che probabilmente aumenteranno i tassi di 25 punti base, mentre in precedenza c’era l’aspettativa che i tassi USA potessero aumentare di 50 punti base a marzo. Pensiamo che questo illustri chiaramente l’approccio più cauto che le banche centrali adotteranno in futuro e, di conseguenza, il ciclo di rialzo dei tassi sarà probabilmente più lungo, almeno inizialmente. Detto questo, se tra sei o otto mesi la situazione dell’inflazione non mostrerà alcun segno di miglioramento, non dovremmo escludere la possibilità che le banche centrali comincino a farsi prendere un po’ più dal panico. Dal nostro punto di vista, per quanto riguarda le implicazioni per gli investimenti bisogna rimanere corti sui tassi, soprattutto all’inizio, perché c’è un’ottima possibilità che le curve da due a 10 anni si invertano. I breakeven dell’inflazione si sono spostati un po’. Vediamo ancora del potenziale lì, ma non nella stessa misura delle posizioni short sui tassi”.

Owens conclude: “Ci sono tre valute che riteniamo particolarmente convenienti: Corea, Svezia e Polonia. Riconosciamo che lo zloty polacco è attualmente scosso nel breve termine dalla situazione geopolitica. Pensiamo che i mercati latinoamericani selettivi (tassi brasiliani e messicani) appaiano attraenti, ma c’è bisogno di essere consapevoli, dal punto di vista del rapporto rischio-rendimento, che i movimenti sono attualmente determinati dai tragici eventi in Ucraina”.

Fed, eToro:  ecco cosa ha fatto lo S&P nei cicli di rialzi dei tassi

Parla della Fed anche Gabriel Debach, market analyst di eToro. In una nota dedicata ai mercati, Debach scrive che, “con i prezzi del petrolio in calo dai recenti massimi, l’impatto diretto della guerra sull’economia statunitense potrebbe essere più leggero di quanto forse inizialmente temuto. I mercati, quindi, scommettono sempre di più su un possibile aumento, perfino di 50 punti base, nella riunione di giugno e con circa 6 rialzi attesi nell’anno. A riguardo interessante osservare come l’S&P 500, nei periodi che hanno visto almeno cinque rialzi dei tassi, abbia in media ben performato con un rendimento medio complessivo del ciclo dell’11,1%, secondo i dati LPL Research. In particolare, guardando al più recente periodo di rialzi, avvenuto dal 16 dicembre 2015 al 19 dicembre 2018, con ben nove rialzi, il mercato ha registrato un rendimento di circa il 20,9%”.

Fed: e se timore spirale inflattiva fosse ingiustificato?

Dice la sua, infine, Jeffrey Cleveland, Chief economist di Payden & Rygel:

“Nonostante l’ultimo rapporto sull’occupazione negli Stati Uniti abbia evidenziato il fatto che siano stati 12 mesi complessivamente positivi per la crescita dei posti di lavoro (quasi 600.000 in media negli ultimi tre mesi), alcuni temi sembrano preoccupare particolarmente gli investitori. Anzitutto il fatto che la crescita dei salari reali sia negativa, dal momento che, se si guarda al guadagno medio orario del 5% su base annua e lo si corregge all’inflazione, i salari reali risultano effettivamente in calo e questo, nel complesso, non rappresenta un dato positivo per i consumi. Le curve dei rendimenti a due e 10 anni, inoltre, si sono appiattite e la differenza tra i rendimenti è scesa a meno di 30 punti base. Nei tre o quattro cicli precedenti, l’appiattimento della curva dei rendimenti ha solitamente preceduto un rallentamento economico, così come l’inversione della curva ha solitamente preceduto una recessione. Un altro dato che rende nervosi gli investitori è rappresentato dall’aumento del prezzo del greggio in un breve periodo di tempo, che spesso anticipa l’arrivo di una recessione“.

Ora, “per quanto riguarda l’inflazione, il quadro è ancora piuttosto preoccupante, con l’inflazione core a livelli elevati che, presumibilmente, continueranno a salire, spingendo i banchieri centrali ad intervenire, quando invece, se avessimo avuto uno shock dell’offerta come quello attuale in qualsiasi altro periodo, con il prezzo del greggio in aumento, sarebbe stato più prudente per la Fed limitarsi ad attendere. Il tema chiave che dovrà essere affrontato dal meeting della Fed di oggi è quello di un possibile aumento di 25 o di 50 punti base nel mese di marzo. Sembra più probabile che l’aumento possa essere di 25 punti base. Questo significa che, per il momento, l’assenza di pressione sulla crescita salariale potrebbe essere dovuta ad alcuni effetti di composizione e che, in futuro, potremmo assistere ad una nuova accelerazione. Il timore di una spirale inflattiva e salariale sembra per ora ingiustificato alla luce degli ultimi dati“.

In ogni caso, “con i livelli dei prezzi del petrolio più alti dal 2008, l’oro in aumento e il dollaro forte rispetto all’euro, la Fed sembra essere in una posizione più favorevole rispetto alla Bce per avviare un inasprimento della politica monetaria e Powell ha dichiarato l’intenzione di procedere su questa strada nonostante le tensioni geopolitiche. La Bce si trova invece in una situazione diversa, a causa della vicinanza delle tensioni e di livelli di inflazione più contenuti e guidati dall’energia. Inoltre, in Europa non stiamo assistendo ad una dinamica salariale altrettanto forte, quindi sembra più probabile che la Bce sarà molto più lenta nell’irrigidimento della politica monetaria rispetto alla Fed”.