Notiziario Notizie Asia Coronavirus: Ikea chiude tutto in Cina. Virus Wuhan spaventa anche S&P, alert debiti sovrani Asia

Coronavirus: Ikea chiude tutto in Cina. Virus Wuhan spaventa anche S&P, alert debiti sovrani Asia

30 Gennaio 2020 10:54

La lista delle multinazionali che decidono di chiudere i propri esercizi in Cina, a Wuhan in primis, continua ad allungarsi, mentre il coronavirus continua a mietere vittime: 170 i decessi, mentre i casi di persone infettate salgono a oltre 7.700. La svedese Ikea opta per la misura più drastica: quella di chiudere tutti i 30 punti vendita che ha in Cina, incluso quello di Wuhan, città focolaio del virus che è stata messa in quarantena, così come un’altra decina di città cinesi.

“Seguiremo con attenzione l’evolversi dell’epidemia, mentre i negozi saranno chiusi fino a ulteriore avviso”, ha detto la portavoce del colosso dell’arredamento, precisando che i servizi di shopping online rimarranno operativi.

E mentre oltre al virus si diffonde anche la psicosi, arriva il giudizio di S&P Global Ratings sulle conseguenze che il virus potrebbe avere sull’economia, in particolare sul rating sovrano dell’Asia-Pacifico.

In una nota gli analisti fanno notare che, al momento, “forse una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina sarà stata anche evitata”, ma che “la diffusione della nuova infezione virale e le rinnovate tensioni in Medio Oriente sono diventate i rischi chiave che incombono sul rating del debito sovrano dell’Asia Pacifico”.

L’opinione è contenuta nel report “Asia-Pacific Sovereign Rating Trends 2020.”

“Le autorità cinesi – si legge nella nota – sembrano aver risposto in modo relativamente veloce e con fermezza all’ultimo contagio del virus, nonostante le critiche sull’iniziale mancanza di trasparenza”. Detto questo, “a  parte il rischio che incombe sulla vita delle persone, è probabile che il virus colpisca il settore dei viaggi e i consumi”. 

“In uno scenario di una infezione diffusa – si legge ancora- (il virus) potrebbe indebolire in modo significativo la crescita economica e le condizioni fiscali dei governi dell’Asia”. S&P ricorda poi il rischio rappresentato dalle tensioni geopolitiche in Medio Oriente, rinfocolato dall’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani da parte degli Stati Uniti, a Baghdad.

Altro eterno fattore di instabilità è Pyongyang, che ha mostrato di recente una certa insofferenza per la lentezza, a suo avviso, con cui si sta rispondendo alle sue richieste di ritirare o allentare le sanzioni economiche imposte alla Corea del Nord.

A ciò bisogna aggiungere il fatto che “la crescita (economica) più lenta nel 2019 e le aspettative di una continua incertezza economica nel 2020 hanno portato i governi delle principali economie (dell’area) – Cina, India, Corea e Thailandia incluse – a riportare un aumento dei deficit. E anche in Giappone il governo ha aumentato la spesa per compensare l’impatto dell’aumento dell’Iva entrato in vigore alla fine del 2019″.

Tutto questo, mentre il coronavirus rischia di colpire forte l’economia della Cina, seconda economia del mondo, motore dell’economia mondiale. Mentre si cercano di calcolare anche i danni che il dilagare dell’infezione potrebbe avere sull’economia, Zhang Ming, economista presso la Chinese Academy of Social Science – Accademia cinese di Scienze sociali – ha riferito alla Cnbc che la crescita del Pil cinese potrebbe essere sforbiciata di un intero punto percentuale nel primo trimestre di quest’anno.

I casi di persone infettate dal virus noto anche come virus di Wuhan hanno superato ormai in velocità quelli provocati dalla Sars. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ricordato, infatti, che nel periodo compreso tra il primo novembre del 2002 e il 31 luglio del 2003 i casi di persone colpite dalla Sars furono pari a 5.327 unità. Ci sono voluti, dunque, più di sei mesi affinché i casi di infezione salissero sopra la soglia di 5.000 unità nella Cina continentale. Il diffondersi del coronavirus è stato invece talmente celere, da provocare più di 5000 casi di persone infettate in un mese circa.

Il primo caso ufficiale è stato segnalato nella città di Wuhan il 31 dicembre scorso. Ikea è solo l’ultima delle multinazionali a scontare il diffondersi del virus. McDonald’s, Starbucks e Pizza Hut sono tra le catene di negozi di fast food e attive nel settore della ristorazione ad aver chiuso migliaia di location in tutta la Cina.

Anche i colossi dell’auto hanno preso provvedimenti significativi: la nuova fabbrica di Tesla a Shanghai ha interrotto la produzione, conformandosi agli ordini del governo di Pechino. I parchi tematici di Disney di Shanghai e Hong Kong sono stati chiusi, così come accaduto a diversi musei e a molte attrazioni come quella della Città Proibita.

General Motors, il principale produttore americano di auto che opera in Cina, ha riferito ai dipendenti che le sue fabbriche in Cina rimarranno chiuse fino al prossimo 9 febbraio, motivando la decisione con il pericolo del coronavirus.

Starbucks ha chiuso già più della metà delle sue caffetterie in Cina, ma l’AD Kevin Johnson ha detto che la società non esiterà a chiuderne di più, se necessario.

Google sta chiudendo anch’essa, in via temporanea, i suoi punti vendita in Cina, imponendo restrizioni ai viaggi. Microsoft ha imposto ai propri dipendenti di lavorare da casa fino al prossimo 9 febbraio, mentre Amazon ha detto che sta impedendo ai propri dipendenti di viaggiare in Cina “fino a ulteriore avviso”.

ùAltre società a prendere provvedimenti contro il coronavirus sono state WeWork -che ha chiuso temporaneamente 55 uffici, incoraggiando i propri dipendenti a lavorare da casa -e Facebook. In quest’ultimo caso, ai dipendenti che lavorano in Cina e che di recente hanno viaggiato, stando ad alcune indiscrezioni, è stato chiesto di lavorare da casa. Per ora, rimarrà aperta invece Wal-Mart. Il colosso retail Usa ha comunque confermato di avere tutta l’intenzione di continuare a monitorare la situazione.

Apple potrebbe pagare a caro prezzo il fattore coronavirus. A essere colpita, nello specifico, sarebbe la produzione dei suoi iPhone, come ha reso noto il Nikkei Asian Review. E questo perchè diverse società rifornitrici del colosso temono di non poter soddisfare le richieste di produzione, visto che il coronavirus ha colpito in particolare la provincia di Hubei (che ha Wuhan come capoluogo) dove sono situate alcune fabbriche.

Finora, Apple ha chiuso un solo negozio in Cina, scegliendo anche di porre limiti ai viaggi dei suoi dipendenti. Gli altri punti vendita rimangono operativi a orario ridotto. Così come sta facendo anche McDonald’s nei punti vendita rimasti aperti, Apple ha preso alcuni provvedimenti per i dipendenti che lavorano nell’area di Wuhan. Tra questi, quello di misurare regolarmente la febbre per monitorare lo sviluppo di sintomi influenzali che potrebbero essere associati al coronavirus.