Finanza Notizie Mondo Britaly: l’Economist sferra il colpo di grazia a Liz Truss. La crisi UK e il paragone con l’Italia

Britaly: l’Economist sferra il colpo di grazia a Liz Truss. La crisi UK e il paragone con l’Italia

20 Ottobre 2022 15:47

“Welcome to Britaly”, sentenzia l’Economist, e la vignetta dice tutto: la premier (ormai ex) britannica Liz Truss, protagonista di uno dei flop più clamorosi della storia dei governi made in UK, viene dipinta come un’orgogliosa soldatessa romana, con tanto di pizza a mo’ di scudo e immenso forchettone che esibisce trionfante spaghetti, questi, made in Italy. Benvenuti al Britaly, ovvero al Regno Unito ormai italiano: “Un paese di instabilità politica, bassa crescita, sottomesso ai mercati dei bond”.

Come l’Italia, fa notare la rivista. Liz Truss, assediata dalle critiche, non avrà probabilmente retto il colpo. E oggi, giovedì 20 ottobre 2022, ha annunciato le proprie dimissioni , ponendo fine al governo più breve di tutta la storia UK. Con il suo articolo l’Economist è stato implacabile nei confronti del Regno Unito che ha osato trasformarsi nel metro di paragone più imbarazzante: ovvero – come aveva scritto anche il Telegraph – , in una sorta di nuova Italia dell’Europa. Apriti cielo: nel leggere l’articolo dell’Economist che ha accostato gli UK all’Italia, la rabbia è esplosa sia tra i britannici che tra gli italiani.

In Italia molti hanno lanciato un messaggio molto chiaro: E no, siamo noi a vergognarci di essere paragonati a voi. E così, di scena è andato anche il dubbio su chi si stesse vergognando di chi.

L’Economist è partito da quel lontano 2012, quando l’ormai ex premier UK Liz Truss e l’ex Cancelliere allo Scacchiere Kwasi Kwarteng (proprio loro, gli artefici del maxi piano shock di tagli alle tasse che ha scosso i mercati di tutto il mondo, prima di essere stralciato praticamente in toto), avevano scritto il pamphlet “Britannia Unchained”, facendo riferimento proprio all’Italia nel lanciare l’allarme crescita nel Regno Unito.

L’Italia, ha ricordato l’Economist, veniva definita un paese caratterizzato da “bassa crescita e bassa produttività” e Truss e Kwarteng – quest’ultimo defenestrato lo scorso venerdì e sostituito da Jeremy Hunt –avvertivano nel 2012 che questi problemi erano presenti anche nel Regno Unito. “Dieci anni dopo, nel loro tentativo pasticciato di creare un percorso diverso, Ms Truss e Mr Kwarteng  hanno reso il paragone (tra UK e Italia) inevitabile. Il Regno Unito continua a essere segnato da una crescita deludente e da una diseguaglianza tra le varie regioni. Ma è anche azzoppato da una instabilità cronica e messo sotto scacco dai mercati dei bond“. Di conseguenza, “benvenuti in Britaly”.

Anche prendendo in considerazione soltanto il modo in cui l’annuncio del piano shock dei tagli alle tasse targato Kwarteng  ha stracciato il valore dei Gilt, scatenando una pericolosa impennata dei tassi , il paragone tra il Regno Unito e l’Italia non risulta così assurdo. I BTP, così come i Gilt nelle ultime settimane, hanno scontato spesso (sempre) l’incertezza politica fino a poco fa tutta italiana, così come il rischio di un deficit-debito tricolori destinati a lievitare. “Markets are now treating UK bonds like Greek and Italian debt”, ovvero “i mercati ora considerano i bond UK come i titoli di stato greci e italiani”, scriveva Julia Horowitz di CNN Business, commentando il crollo dei Gilt scatenato dall’annuncio delle misure del governo Truss, un mese fa circa.

All’inizio di agosto, i tassi dei Gilt UK a 5 anni viaggiavano all’1,55%. Nella giornata di martedì (27 settembre) balzavano al 4,27%. Un movimento enorme, in un mercato dove di norma i cambiamenti si verificano attraverso frazioni contenute di un punto percentuale“.

In quelle ore di vendite scatenate che si abbattevano sui titoli di stato UK, i rendimenti dei bond britannici a cinque anni volavano perfino al di sopra dei rendimenti dei bond greci e dei BTP a cinque anni, “due paesi noti per essere tra le scommesse più rischiose degli investitori, a causa degli elevati livelli del debito”.

Horowitz faceva riferimento al rapporto debito-Pil della Grecia, che a marzo era pari al 189%, rispetto a quasi il 153% del rapporto debito-Pil dell’Italia e al rapporto UK, pari a quasi il 100% (ma destinato secondo diversi economisti a balzare nei prossimi anni a livelli ben più alti). Tutti i mercati a livello globale affondavano, in primis (ovviamente) Gilt e sterlina.

Con il suo articolo “Welcome to Britaly”, l’Economist non ha fatto un paragone tra l’Italia e il Regno Unito di Liz Truss riferendosi ‘solo’ al trend dei titoli di stato. Il paragone è stato fatto anche in riferimento all’instabilità politica che sta caratterizzando entrambi i paesi, e non proprio da poco.

L’instabilità politica che era solita marchiare l’Italia ora ha infettato a pieno il Regno Unito. Dalla fine del governo di coalizione del maggio del 2015, il Regno Unito ha avuto quattro primi ministri(David Cameron, Theresa May, Boris Johnson e Liz Truss), così come accaduto in Italia, Si prevedono di conseguenza di due paesi destinati probabilmente a rimanere impantanati in situazioni di stallo, nel breve termine”.

L’Economist ha messo in evidenza come i conservatori, i Tories, “abbiano trascorso gli ultimi sei anni rincorrendo il sogno di rafforzare la sovranità britannica, e perdendo invece il controllo”.

E ancora, un altro paragone con l’Italia: Silvio Berlusconi è stato rimosso dal potere in Italia nel 2011 dopo le tensioni esplose con Bruxelles e Berlino. Mr Kwarteng (ex ministro delle Finanze) è stato defenestrato dalla carica di Cancelliere dello Scacchiere a causa della reazione dei mercati al suo piano di tagli alle tasse privi di copertura”.

L’Economist (l’articolo è stato pubblicato prima dell’annuncio delle dimissioni della premier britannica) ha ricordato che “in Italia i governi fanno fatica a portare a termine qualsiasi cosa; la stessa cosa è vera per i governi di breve durata che si sono succeduti nel Regno Unito. E ogni volta che dietro l’angolo si è presentata la possibilità di avere nuovi governi e leader, pantomima e culto della persona sostituiscono la politica”.

Non per niente “l’ex premier britannico Boris Johnson è stato chiamato da qualcuno ‘Borisconi.

Tornare al voto non ha risolto i problemi dell’Italia – ha sentenziato l’articolo dell’Economist – Ma c’è ragione di nutrire maggiori speranze nei confronti del Regno Unito, dove l’instabilità politica è una malattia che ha colpito un solo partito. I Tories sono diventati quasi ingovernabili, a causa della corrosione arrivata dalla Brexit e per l’assoluta spossatezza provocata dai 12 anni in cui sono stati al potere”.

“Truss – ha concluso la rivista – ha ragione a identificare nella crescita il problema più grande del Regno Unito. Ma la crescita non dipende da piani fantasiosi o in stile big bang, ma da governi stabili, da una politica ragionata e dall’unità politica. Cosa che, nella loro forma attuale, i Tories non sono più capaci di fornire“. Tornando al caso Britaly, negli ultimi giorni i paragoni con l’Italia si sono sprecati. Tra questi, quello dell’ ex vice governatore della Bank of England, Charles Bean, che ha detto chiaramente che il Regno Unito non può essere più paragonato alle economie di Stati Uniti e Germania e che ha aggiunto che, a suo avviso, ormai i creditori vedono l’economia britannica più simile a quelle di Grecia e Italia, “grazie al caos scatenato da Liz Truss”, con quelle promesse facili di tagli alle tasse troppo importanti per essere veri. “Ora la trasformazione della Gran Bretagna verso la nuova Italia è quasi completa”, ha scritto qualche giorno fa sul Telegrah Matthew Lynn: “Diventare ora come l’Italia è, in verità, una prospettiva fosca. Di tutti i paesi del G20, è quello senza alcun dubbio che meno si vorrebbe imitare. E‘ (un paese) che ha bloccato la crescita, poche sono le nuove aziende di cui si è sentito parlare“, ed è un paese, anche, “che ha poche ambizioni al di là di quella di tenere sotto controllo i debiti”. Tanto che, in Italia “i giovani migliori e più brillanti scelgono sempre di più di fare carriera da un’altra parte”. “Scioccante” che, “nell’arco dell’ultimo decennio, 182.000 laureati abbiano lasciato il paese”: e “il numero sta accelerando”.