Finanza Notizie Italia Fase 2 al via, ma 1 negozio su 3 non riaprirà. Non conviene a fronte di troppi costi

Fase 2 al via, ma 1 negozio su 3 non riaprirà. Non conviene a fronte di troppi costi

4 Maggio 2020 09:28

Fine del lockdown in Italia, che si appresta oggi alla ripartenza con l’avvio della cosiddetta Fase 2, con una ripresa limitata ad alcune attività economiche per poi proseguire il 18 maggio con l’apertura dei negozi e l’1 giugno con il via libera anche a bar, ristoranti e le altre attività commerciali a contatto diretto, come parrucchieri ed estetiste. Tuttavia, per 1 negozio e bar su tre le saracineshce rimarranno abbassate. A lanciare l’allarme è il Centro studi di Unimpresa, secondo cui la profonda crisi di questi settori aprirà un dramma sociale anche sul versante dell’occupazione.

Secondo l’associazione, il 30% di bar, ristoranti e commercio al dettaglio, affossato dai costi, non sarà in condizione di ripartire e non riaprirà. Per almeno un terzo degli imprenditori, la ripresa di alcuni esercizi commerciali è sconveniente sul piano economico, tenuto conto dei costi fissi che non vengono in alcun modo congelati né ridotti (affitti, utenze, tassa sui rifiuti e sul suolo pubblico) e di un giro di affari ridotto a causa delle misure di distanziamento sociale. In sintesi, un bar che riapre a giugno potrà lavorare con un terzo dei clienti semplicemente perché non li potrà fare entrare nel proprio esercizio. Vuol dire anche un terzo degli incassi, ma con gli stessi costi fissi come bollette, affitti, tassa sul suolo pubblico, rifiuti.

“È ormai certo che migliaia di piccoli commercianti non riapriranno e parliamo di circa il 30% delle attività di ristorazione, bar, piccoli negozi di abbigliamento, piccole rivendite di articoli al pubblico. Non riapriranno, perché è antieconomico. Tutte queste piccole attività dovendo riaprire a giugno, si ritroveranno a saldare affitti, tasse e merce in negozio”, spiega il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Il crollo del 30% di negozi, bar e ristoranti si potrebbe tradurre, considerando le attività connesse, in una riduzione del giro d’affari complessivo che interessa 250 miliardi di euro di Prodotto interno lordo: a questa cifra si arriva partendo dal presupposto che il 60% del Pil è legato al mercato interno e che il 30% di questo mercato (ovvero il 18% del totale del Pil) potrebbe subire pesanti ripercussioni. Senza contare il “dramma per l’occupazione”.