Finanza Notizie Italia Family Act, piano governo: 80 euro bonus Renzi alle famiglie. 240 euro al mese per figlio

Family Act, piano governo: 80 euro bonus Renzi alle famiglie. 240 euro al mese per figlio

7 Ottobre 2019 08:24

Un figlio, un assegno, attingendo alle risorse che attualmente finanziano i bonus da 80 euro lanciati dall’ex presidente del Consiglio e leader di Italia Viva, Matteo Renzi.

Il Family Act su cui sta lavorando il governo M5S-PD punta a dare un sostegno alle famiglie con l’erogazione di bonus a seconda del numero dei figli.

Il quotidiano La Repubblica anticipa il piano, basato sulla proposta elettorale del Pd del 2018, elaborata dall’economista e senatore democratico Tommaso Nannicini. Piano Family Act che la ministra della Famiglia Elena Bonetti chiama “bonus nascita”.

Il piano si incentrerebbe sull’erogazione di assegni alle famiglie con figli: 240 euro per figlio fino a 18 anni, e 80 euro fino a 26 anni, nel caso in cui i figli non siano ancora autosufficienti.

Il tutto, attraverso un’operazione che sarebbe a costo zero per lo Stato, in quanto le risorse sono già disponibili: basta attingere a quelle destinate al bonus Renzi, per l’appunto, misura pensata e tuttora in vigore per una platea piuttosto nutrita di lavoratori dipendenti.

La platea oggi è formata, per la precisione, come ricorda il quotidiano, da 10 milioni di lavoratori dipendenti, che hanno un reddito annuo compreso tra gli 8 mila e i 26 mila euro. In base al piano PD su cui starebbe lavorando il premier Giuseppe Conte, questi fondi da 9,5 miliardi verrebbero convogliati alle famiglie italiane e ai loro 10 milioni di bambini e ragazzi sotto i 18 anni. Questo sarebbe il primo passo, per puntare poi a erogare 80 euro al mese fino, per l’appunto, a un massimo di 26 anni.

Vittime sacrificali sarebbero i lavoratori dipendenti che appartengono alla fascia di reddito 8.000-26.000 euro e che non hanno figli.

Scrive La Repubblica: “Di sicuro un terzo di chi oggi incassa il bonus Renzi — 2,8 milioni di persone — non potrebbe più contare su quell’entrata extra in busta paga: 960 euro all’anno fino ai 24 mila euro di reddito, con un décalage importante fino ai 26 mila euro. Questi lavoratori non hanno figli. E se il criterio diventasse “un assegno, un figlio” perderebbero il beneficio”. A guadagnarci sarebbero invece più di 5,6 milioni di famiglie oggi escluse dagli 80 euro. Più altre 6 milioni di famiglie con figli che dal 2014 incassano gli 80 euro, candidate a ricevere più soldi”.

I 240 euro alle famiglie, in base alla proposta, verrebbero erogati a prescindere dal reddito. L’obiettivo è quello di assegnare fondi in base al numero dei figli, non in base a vincoli economici. L’idea del Family Act è anche di eliminare alcune storture che fanno parte del bonus Renzi: tra queste,  quella che assegna gli 80 euro, per esempio, ai lavoratori dipendenti, a partire da 8.000 euro di redditi, ma che dimentica altre categorie ancora più sfortunate, come “disoccupati, lavoratori autonomi, precari, incapienti sotto gli 8 mila euro, ceto medio sopra 26 mila euro, pensionati”.

LA PROPOSTA DI ANTONIO MISIANI (PD) PER AIUTARE I LAVORATORI INCAPIENTI

Di qui, nel pacchetto di misure a cui l’esecutivo giallorosso sta lavorando, c’è anche la proposta del viceministro dell’economia, Antonio Misiani che, in base a quanto presentato da lui stesso su Facebook, punta a realizzare in modo graduale il taglio del cuneo fiscale, iniziando con i dipendenti a basso reddito:

“La priorità, a mio parere, è iniziare ad aiutare i dipendenti a basso reddito: 3 milioni e 700 mila lavoratori “incapienti” che sono rimasti esclusi dal bonus 80 euro di Renzi e che solo in alcuni casi beneficiano del reddito di cittadinanza”.

“Sono i cosiddetti “working poors”: lavoratori poveri spesso precari -spiega Misiani – part time involontari, collaboratori a basso reddito, dipendenti con salari orari da sfruttamento. In tantissimi casi giovani. Un fenomeno assai più diffuso in Italia, rispetto alla media europa. Aiutarli è un dovere. Dobbiamo farlo estendendo erga omnes i salari minimi previsti dai contratti di lavoro maggiormente rappresentativi, mettendo fuori gioco i contratti “pirata” che legittimano paghe orarie da fame. Ma dobbiamo farlo anche utilizzando lo strumento fiscale, come fanno da tempo paesi avanzati come gli Stati Uniti (con l’Earned Income Tax Credit). Chi pensa che le risorse ipotizzate dalla Nota di aggiornamento non siano sufficienti, non chieda di rinviare questa misura: ci aiuti a trovare ulteriori fondi. Saremo felici di discuterne, con lo spirito costruttivo di sempre”.