Accordo commerciale USA-Cina: impatti economici e prospettive
Accordo commerciale USA-Cina 2025? Focus su dazi, implicazioni economiche e opportunità per gli investitori.
L’accordo commerciale USA-Cina, raggiunto a Londra l’11 giugno 2025, si configura come un delicato esercizio di equilibrio tra due giganti economici, segnando un nuovo capitolo in una relazione segnata da sfide strutturali e tensioni irrisolte.
Se da un lato si proclama la volontà di stabilizzare i rapporti, dall’altro le divergenze restano profonde, con un sistema di dazi che riflette più una tregua armata che una reale distensione. In questo scenario, ogni passo avanti appare subito controbilanciato da nuovi ostacoli, in un gioco di pesi e contrappesi che non lascia spazio a facili entusiasmi.
Accordo commerciale USA-CINA: un sistema di dazi asimmetrico
Al centro dell’accordo commerciale USA-Cina si trova un impianto tariffario americano che non lascia dubbi sulla sua natura: un dazio universale del 10% su tutte le importazioni, a cui si somma una maggiorazione del 20% rivolta specificamente alla Cina per la questione del fentanyl, senza dimenticare il mantenimento del 25% imposto già durante la prima amministrazione Trump.
In totale, un carico del 55% che pesa come un macigno sulle esportazioni cinesi, a fronte di un modesto 10% applicato sui prodotti statunitensi. Trump, come da copione, esulta definendo l’accordo “una grande vittoria per entrambi i Paesi“,ma la realtà racconta di una bilancia tutt’altro che in equilibrio. E mentre il Segretario al Commercio Lutnick parla di “punto di partenza”, è evidente che le vere questioni restano ancora tutte sul tavolo.
Terre rare e vulnerabilità strategiche: il nodo che non si scioglie
Uno degli aspetti più critici, e spesso sottovalutati, è la persistente dipendenza americana dalle terre rare cinesi. Questi materiali, fondamentali per i settori tecnologici avanzati, rappresentano il vero tallone d’Achille degli Stati Uniti, incapaci di svincolarsi da una filiera che la Cina controlla con mano ferma. Gli analisti mettono in guardia: ogni escalation tariffaria rischia di tradursi in rincari per i consumatori e in una crescente vulnerabilità industriale, soprattutto in un contesto globale dove le alternative restano scarse e costose. Non a caso, la pressione sulle filiere produttive è destinata ad aumentare, con effetti a catena che potrebbero riverberarsi ben oltre i confini dei due Paesi.
Per chi guarda al futuro con occhio pragmatico, il vero banco di prova saranno gli investimenti. La necessità di diversificare le catene di approvvigionamento, soprattutto per i materiali critici, si fa sempre più urgente. Nel frattempo, la volatilità dei mercati globali si accentua, mentre settori come la tecnologia e la manifattura si ritrovano esposti in prima linea alle conseguenze dell’accordo. In Cina, la situazione si complica ulteriormente: il 32% delle imprese industriali è già in perdita e la capacità produttiva inutilizzata rischia di aggravare una crisi latente. Insomma, più che una soluzione definitiva, questo accordo commerciale USA-Cina appare come una tregua fragile, destinata a essere messa alla prova da nuove negoziazioni e, forse, da nuove tensioni.
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