Fisco Pink Tax, la tassa invisibile che penalizza le donne

Pink Tax, la tassa invisibile che penalizza le donne

Scopri cos'è la pink tax, come colpisce le donne e quali sono le conseguenze economiche della discriminazione nei prezzi dei prodotti.

18 Agosto 2025 15:00

È sufficiente dare uno sguardo veloce sugli scaffali di un supermercato per rendersi conto che a volte, per due articoli apparentemente identici, il costo lievita solo perché destinato al pubblico femminile. Ebbene, è proprio questa la logica alla base della pink tax, ovvero l’aumento di prezzo che colpisce rasoi, detergenti e persino giocattoli “in rosa”.

Numerose indagini hanno rilevato divari di costo mediamente superiori, con l’aggravante che le donne percepiscono un reddito più basso a causa di un fenomeno ben noto come gender pay gap. Mentre ci si interroga sulle motivazioni alla radice di questa dinamica, è doveroso evidenziare come essa rappresenti una forma di discriminazione economica, penalizzante e diffusa su scala internazionale.

Uno dei casi più emblematici di pink tax riguarda i supermercati francesi, dove un pacchetto di cinque rasoi per donne costava più di uno da dieci per uomini, a parità di caratteristiche. In queste circostanze, si manifesta un prezzo discriminatorio che non è giustificato né dalla qualità reale né da differenze tangibili.

Le aziende talvolta puntano su un packaging più accattivante o su una nuance specifica per incrementare il valore percepito, approfittando di una segmentazione di mercato che, di fatto, si fonda sull’idea che le consumatrici siano disposte a pagare di più. A livello di marketing, questo tipo di segmentazione mira a massimizzare i profitti attraverso l’obiettivo puramente commerciale di trasformare il target femminile in un mercato “premium”.

Pink tax: impatto sull’immagine dei brand

Quando le donne si accorgono di queste differenze di prezzo, la fiducia nei confronti delle aziende tende a vacillare. Siamo in un’epoca in cui i consumatori, informati e consapevoli, prestano attenzione non soltanto alla qualità del prodotto ma anche a ciò che esso rappresenta.

Ecco perché la reputazione del brand può subire scossoni rilevanti, specie in presenza di pratiche che risultano poco trasparenti o palesemente discriminatorie. Un marchio che si trova al centro di polemiche per un presunto costo maggiorato o una politica poco inclusiva può subire un danno d’immagine di lungo periodo, con ripercussioni tanto sull’appeal del pubblico quanto sul valore delle azioni.

La proposta di soluzioni concrete a questa pink tax non può prescindere dal concetto di equità economica. In primo luogo, è essenziale promuovere una maggiore trasparenza da parte delle aziende, affinché i prezzi dei prodotti non vengano stabiliti in base a criteri legati al genere.

Inoltre, gli interventi regolatori possono favorire l’introduzione di politiche di controllo e sanzioni per le imprese che perdurano in modelli di vendita discriminanti. Infine, i consumatori stessi devono farsi parte attiva, acquisendo informazioni e facendo scelte d’acquisto consapevoli.

Solo attraverso un’azione collettiva, capace di unire l’impegno delle istituzioni, dei brand e dei singoli, sarà possibile mettere fine a queste distorsioni e costruire un mercato più giusto per tutti.

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