Finanza Personale Sanità, liste d’attesa e rinuncia alle cure in aumento

Sanità, liste d’attesa e rinuncia alle cure in aumento

Quasi 6 milioni di italiani rinunciano alle cure per costi e attese. Dati ISTAT e scontro governo-regioni sulle soluzioni.

23 Maggio 2025 12:30

Una realtà preoccupante emerge dai dati più recenti sulla sanità italiana, con un fenomeno che sta assumendo proporzioni sempre più allarmanti: circa 6 milioni di cittadini, pari al 9,9% della popolazione, hanno dichiarato di aver rinunciato alle cure nel 2024.

Questo rappresenta un netto peggioramento rispetto al 7,5% registrato nel 2023 e al 6,3% del 2019, periodo pre-pandemia. La situazione non è uniforme, ma presenta differenze significative tra i generi e le fasce d’età, colpendo maggiormente le donne e i giovani adulti.

Una persona su 10 ha rinunciato a curarsi nel 2024

La rinuncia alle cure si configura come un fenomeno con una forte connotazione di genere: l’11,4% delle donne dichiara di non potersi curare, contro l’8,3% degli uomini. Il divario si amplifica nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 34 anni, per poi attenuarsi con l’aumento dell’età. Le cause principali di questa situazione sono due: da un lato, i costi delle prestazioni sanitarie che continuano a crescere, dall’altro, le interminabili liste d’attesa, che scoraggiano molti cittadini dal cercare assistenza medica tempestiva.

Secondo i dati ISTAT, il 6,8% degli intervistati ha dichiarato di non aver avuto accesso alle prestazioni sanitarie a causa dei lunghi tempi d’attesa, un dato in crescita di ben 4 punti percentuali rispetto al 2019. Al contempo, il 5,3% attribuisce la propria rinuncia a ragioni economiche, confermando una tendenza in costante peggioramento negli ultimi anni. Questa combinazione di fattori ha conseguenze non solo individuali, ma anche collettive, con un impatto diretto sul funzionamento del sistema sanitario.

La mancata prevenzione, infatti, aumenta il rischio di complicazioni gravi e di mortalità, specialmente tra gli anziani affetti da patologie croniche. Inoltre, l’assenza di cure tempestive si traduce in costi maggiori per il sistema pubblico, che si trova a dover gestire ricoveri d’urgenza e trattamenti più complessi. Nonostante un’aspettativa di vita che rimane alta (81,4 anni per gli uomini e 85,5 per le donne), la qualità degli anni vissuti in buona salute è in calo, segno di un deterioramento delle condizioni generali di benessere.

Dal punto di vista istituzionale, la situazione è aggravata da uno stallo normativo. Il decreto ministeriale destinato a ridurre le liste d’attesa è bloccato a causa di disaccordi tra il governo centrale e le regioni. Al centro del dibattito vi è la questione dei poteri sostitutivi, che permetterebbero allo Stato di intervenire nelle regioni inadempienti. Tuttavia, le amministrazioni locali considerano questa misura un’ingerenza eccessiva nella loro autonomia.

Continua a crescere il settore privato

Nel frattempo, alcune regioni hanno cercato di agire autonomamente per fronteggiare l’emergenza. La Lombardia, ad esempio, ha stipulato un accordo con i NAS per monitorare il rispetto dei tempi d’attesa, un’iniziativa che, seppur limitata, rappresenta un tentativo di rispondere a un problema sistemico. Tuttavia, il ricorso al privato continua a crescere: nel 2024, il 23,9% degli italiani ha scelto strutture private a pagamento, evidenziando ulteriormente le lacune del sistema pubblico e accentuando le disuguaglianze nell’accesso alle cure.

Questa situazione, che vede il sistema sanitario pubblico sempre più in difficoltà, solleva interrogativi cruciali sul futuro della sanità in Italia. È necessario un intervento coordinato e incisivo per garantire che il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, non rimanga un privilegio riservato a pochi, ma un bene accessibile a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito o luogo di residenza.

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