News Finanza Indici e quotazioni Wall Street: economia resiliente, anche troppo. Non è una buona notizia per la Fed. E per i mercati

Wall Street: economia resiliente, anche troppo. Non è una buona notizia per la Fed. E per i mercati

15 Febbraio 2023 15:54

Per l’ennesima volta nell’arco di pochi giorni, la Federal Reserve di Jerome Powell sarà rimasta sorpresa dalla resilienza dell’economia Usa: altro che soft landing e tanto meno hard landing. L’economia americana va avanti a ritmo spedito, e a confermarlo sono i numeri relativi all’inflazione, al mercato del lavoro e alle spese per consumi.

Il primo shock, per una Wall Street quasi rassegnata di fronte a una apparente recessione inevitabile, è stato il report occupazionale Usa relativo al mese di gennaio, diffuso il 3 febbraio scorso.

Dal rapporto no-farm payrolls è emerso che l’economia degli Stati Uniti ha creato il mese scorso ben 517.000 nuovi posti di lavoro, ben oltre la crescita di 185.000 nuove buste paga attesa dal consensus, e a un ritmo molto più forte anche rispetto ai 223.000 nuovi posti di lavoro creati a dicembre. Non solo. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 3,5% di dicembre al 3,4%, rispetto al rialzo al 3,6% previsto. Non proprio numeri da recessione.

Ieri, è stato diffuso l’indice dei prezzi al consumo CPI, tra i parametri più importanti per monitorare il trend dell’inflazione. Nel mese di gennaio, si è appreso, l’inflazione Usa misurata dall’indice dei prezzi al consumo CPI è salita al ritmo del 6,4% su base annua, in rallentamento rispetto al precedente incremento del 6,5%, ma oltre il +6,2% atteso dal consensus degli economisti.

Su base mensile, le cose sono andate anche peggio. Il dato ha segnato un rialzo dello 0,5%, superiore al +0,4% atteso, e in decisa crescita rispetto al precedente aumento dello 0,1%.

Quest’ultimo trend di dicembre è stato tra l’altro rivisto al rialzo dal -0,1% inizialmente riportato.

Sempre su base mensile il CPI core, ovvero l’indice CPI depurato dalle componenti più volatili rappresentate dai prezzi energetici e dei beni alimentari, è salito a gennaio dello 0,4%, crescendo su base annua del 5,6%, ritmo inferiore rispetto al +5,7% di dicembre ma più del +5,5% previsto dal consensus.

Il CPI ha messo chiaramente in luce come l’inflazione degli Stati Uniti stia rallentando ma non al ritmo previsto dagli economisti e sperato dai mercati, fattore che dimostra come l’ansia sui nuovi rialzi dei tassi da parte della Fed di Jerome Powell sia destinata a rimanere. Per smorzare la crescita dell’inflazione degli Stati Uniti, ci vorrà molto probabilmente più tempo che previsto.

Oggi, è stato reso noto un altro dato che è andato bene, fin troppo bene. Quello delle vendite al dettaglio.

Nel mese di gennaio, le vendite al dettaglio sono balzate del 3%, riportando il balzo più forte dal marzo del 2021. Escluse le vendite di auto, il dato è salito del 2,3%. Escluse le vendite di auto e di benzina, il rialzo è stato pari a +2,6%.

Il balzo delle vendite al dettaglio pari a +3% è stato quasi doppio rispetto alla crescita dell’1,8% stimata dagli analisti e ha confermato una forte ripresa delle spese per consumi, visto che a dicembre la performance era stata di una flessione pari a -1,1%.

Anche escludendo le vendite di auto, il dato ha stracciato le stime, con un rialzo del 2,3% decisamente superiore al +0,8% previsto e dopo il -1,1%, anche in questo caso, di dicembre.

Sorprendenti anche le vendite al dettaglio depurate dalle vendite di auto e benzina, salite per l’appunto del 2,6%, rispetto al calo dello 0,7% precedente.

Insomma, l’economia Usa si è mostrata resiliente ancora una volta. E questo per la Fed di Jerome Powell non va bene. L’obiettivo della banca centrale Usa è infatti quello di rallentare la crescita dell’economia americana al punto da disinnescare la minaccia dell’inflazione, che viaggia a un ritmo superiore a tre volte tanto quello desiderato dalla Fed, pari al +2%.

Ma le strette monetarie della Fed non hanno provocato alcun dietrofront sia dell’economia sia, dunque, dell’inflazione. E la paura di nuovi interventi hawkish di Powell & Co torna sovrana, così come lo era stata praticamente per tutto il 2022.

Nessun crollo, però: alle 15.45 ora italiana, il Dow Jones perde 140 punti circa (-0,41%), a 33.948 punti circa; lo S&P 500 scende dello 0,42%, a 4.118, mentre il Nasdaq arretra dello 0,22% a quota 11.932 punti. Il mercato del reddito fisso cerca di digerire le ultime informazioni provenienti dal fronte macro: i tassi dei Treasuries a 10 anni sono poco mossi al 3,761%, mentre i tassi a due anni scendono al 4,605%

Tra i titoli focus su Airbnb, la piattaforma americana che permette agli utenti di affittare i propri spazi mettendoli in contatto con chi, per motivi di viaggio o lavoro, ha bisogno di una sistemazione.

Airbnb ha annunciato i risultati del quarto trimestre del 2022: l’utile per azione si è attestato a 48 centesimi, molto meglio dei 25 centesimi attesi dal consensus, su un fatturato che si è attestato a 1,90 miliardi di dollari, molto meglio rispetto agli $1,86 miliardi previsti.

Il titolo scatta di oltre il 11%. Tesla poco al di sopra della parità, dopo il rally di oltre il 7% della vigilia.

Un assist al titolo del colosso EV fondato e gestito da Elon Musk è arrivato nelle ultime ore dall’hedge fund di George Soros, Soros Fund Management, che ha acquistato nel quarto trimestre altri titoli TSLA, così come altre azioni di Alphabet e Disney.

Ma anche questi ultimi due titoli rimangono indifferenti allo shopping di Soros.

Focus anche su altri titoli acquistati e smobilizzati da Berkshire Hathaway, la holding fondata da Warren Buffett.

Berkshire ha fatto incetta di altre 21 milioni di azioni di Apple (+0,74%), per un valore superiore ai 3 miliardi di dollari, portando il totale dei titoli AAPL detenuti a 915,6 milioni alla fine del 2022, corrispondenti a un valore di mercato che supera ampiamente quota $110 miliardi.

Sforbibiata invece in modo significativo la quota detenuta nella banca US Bancorp, con il numero di azioni detenute sceso dai precedenti 52,5 milioni ad appena 6,7 milioni di titoli.

Ridotto infine, e per l’ennesima volta, l’investimento in Bank of New York Mellon, con uno smobilizzo di oltre 37 milioni di azioni che porta la quota detenuta dalla conglomerata di Buffett a poco più di 25 milioni di azioni.