Mps-UniCredit: da Stato aumento capitale per il Monte fino a 7 miliardi? Intanto arrivano rumor pro-banche su proroga dote fiscale
Mps-UniCredit, lo Stato dovrà versare di tasca sua (nostra) fino a 5-7 miliardi di euro per favorire la cessione del Monte dei Paschi al gruppo di Andrea Orcel? Sembrerebbe così, stando a quanto segnala il Messaggero, che cita “le indiscrezioni romane raccolte da Bloomberg”.
In base ai rumor, “l’impegno dello Stato, attraverso l’aumento di capitale Mps, per agevolare la cessione, potrebbe andare oltre i 3 miliardi su cui finora è andata avanti la trattativa. C’è chi azzarda che potrebbe salire a 5-7 miliardi, in funzione anche dei paletti posti dalle autorità europee”.
Allo stesso tempo arriva una buona notizia sia per Mps e UniCredit che per altre eventuali società italiane che volessero puntare su operazioni di M&A.
Reuters riporta in via esclusiva che il Mef starebbe considerando l’opzione di prorogare la scadenza degli incentivi fiscali lanciati per favorire le operazioni di fusione e di acquisizione di altri sei mesi, evidentemente anche per prendere tempo nel dossier che vede coinvolto il Monte.
Lo schema della cosiddetta dote fiscale, o dote di Stato, va precisato, si applica a tutte le società italiane, ma tende a privilegiare soprattutto le banche ed è inoltre un elemento chiave negli sforzi del Tesoro, primo azionista di Mps con una quota del 64%, tesi a convincere Orcel ad accollarsi la banca senese.
La storia di quello che è stato chiamato regalo di Stato è la seguente: di questa dote, inizialmente calcolata in tre miliardi di euro circa, si è parlato già a fine 2020, in occasione della legge di bilancio 2021 sfornata dal governo Conte bis.
Già allora si scriveva come nei palazzi romani ci fosse chi “prosaicamente ne parlava come di un regalo da 3 miliardi di euro” a chi avrebbe comprato Monte dei Paschi.
La legge di bilancio è poi passata con tanto di regalo incluso a chi si sarebbe accollato quella che è diventata piuttosto una zavorra di Stato: si tratta praticamente di un incentivo fiscale che prevede la trasformazione delle dta (deferred tax asset, attività per imposte anticipate) in crediti fiscali a favore del compratore (nel caso di Mps, a favore dunque di UniCredit).
Agli inizi di maggio, La Repubblica parlava della possibilità che la dote fiscale a favore di Piazza Gae Aulenti potesse essere arricchita di un altro miliardo e che il tempo per usufruire della dote potesse essere prorogato di sei mesi.
Erano i giorni precedenti l’approvazione del Dl Sostegni che, secondo alcuni analisti, avrebbe fatto slittare la scadenza della dote che incentiva le fusioni, da dicembre fino al 30 giugno del 2022, sulla scia dell’intenzione del governo Draghi di rendere Mps una sposa ancora più attraente agli occhi di un ipotetico cavaliere bianco.
In quei giorni, un articolo de Il Sole 24 Ore pubblicava un articolo dal titolo “Banche, la dote sale a 11,6 miliardi. Cresce l’appeal di UniCredit-Mps” , facendo riferimento alla bozza del decreto: il regalo da 11,6 miliardi avrebbe riguardato tutte le banche italiane e, nel caso specifico di un deal tra UniCredit e Mps, sarebbe stata pari a 3,4 miliardi circa, 1,1 miliardi in più rispetto alla norma in quel momento vigente (della legge di bilancio 2021).
La doccia fredda che poi ha affossato queste speranze veniva annunciata alla fine di maggio: il presidente del Consiglio Mario Draghi sorprendeva tutti: niente tesoretto di Stato più ricco per Orcel – che, secondo altre indiscrezioni, si sarebbe gonfiato fino a 7 miliardi nel caso in cui UniCredit avesse deciso di prendere sotto la propria ala non solo Mps ma anche Banco BPM.
ll Decreto Sostegni Bis veniva approvato senza la dote più ricca e anche senza l’estensione della scadenza degli incentivi fiscali fino al giugno del 2022.
Dunque no all’idea di spostare al primo semestre del 2022 la scadenza per le operazioni M&A da attuare tramite gli incentivi; e no a una modifica che avrebbe fatto salire la soglia delle DTA convertibili in crediti fiscali dal 2% al 3% del totale degli attivi del soggetto minore coinvolto nella fusione.
Andavano in fumo le speranze probabilmente dello stesso Orcel di ricevere più soldi per accollarsi la patata bollente del Monte.
Equita Sim, in quei giorni, calcolava che, nel caso in cui la proposta di spostare a fine 2022 la scadenza della dote fosse stata approvata, la norma avrebbe fornito “un ulteriore impulso al processo di consolidamento nel settore (bancario), supportando in particolar modo una soluzione per Monte dei Paschi (che ha in dote DTA potenzialmente oggetto di conversione per 3,8 miliardi), con tempistiche che tuttavia” avrebbero potuto “essere più lunghe rispetto a quanto inizialmente ipotizzato”.
E ora, Reuters riporta in via esclusiva che il Tesoro starebbe tornando a valutare l’opzione di spostare di sei mesi la scadenza per l’utilizzo della dote fiscale; fattore che riaccende l’appetibilità non solo di Mps e UniCredit, ma anche di altre banche italiane e che riporta in primo piano il tema del risiko bancario. Oggi avanzano infatti diversi titoli bancari, come Carige – altra banca alla ricerca di un partner – , Bper, Banco BPM, Credem, Pop Sondrio.
Detto questo, il Messaggero oggi ha scritto anche che il deal Mps-UniCredit non è scontato, qualcosa che era stato ribadito anche nelle ultime settimane e che è stato ripreso dal quotidiano romano in base a quanto emersonelle ultime ore:
“Secondo le indiscrezioni di ieri sera che hanno attinto anche da fonti milanesi,il negoziato fra il gruppo guidato da Andrea Orcel e il Mef, che possiede il 64% di Rocca Salimbeni, frutto della ricapitalizzazione precauzionale di 5,4 miliardi eseguita nel 2017, è ancora in corso, ma “l’esito positivo del deal non è scontato, dice la fonte”.
E questo perchè, da quando è stato firmato l’accordo di esclusiva tra UniCredit e il Tesoro alla fine di luglio, Orcel ha chiarito che certi asset della banca senese proprio non li vuole.
Di fatto, non si può parlare neanche di una vera acquisizione, come ipotizzato alla fine dello scorso anno e fino al luglio di quest’anno, ma di un accordo con cui UniCredit si prenderebbe il meglio di Mps: ci si chiede di conseguenza che fine faranno questi asset.
Nel dossier del Monte c’è come parte attiva anche Mediocredito Centrale, disposta a prendersi 150 filiali del Sud del Monte: ma quale sarà il destino degli altri asset che non sono inclusi nel perimetro dei desiderata di UniCredit e di MCC?
Ci sono poi i nodi degli esuberi e del marchio, mentre Amco si dovrebbe beccare i crediti deteriorati di Mps per più di 4 miliardi.
Così il Messaggero: “Qualche giorno fa, comunque, di fronte alla determinazione di Orcel, dal Tesoro sarebbe stato sollecitato a formalizzare il pacchetto di richieste per iscritto, vale a dire di fare un’offerta pure condizionata. E il Mef attende una risposta. Il 27 c’è il cda UniCredit per la trimestrale che potrebbe esprimersi sul negoziato anche se non si esclude un board straordinario la prossima settimana”.