Notiziario Notizie Altri paesi Europa Savona lancia alert a Ue (e anche al governo)? ‘Crisi in atto, tragico errore ignorarla’

Savona lancia alert a Ue (e anche al governo)? ‘Crisi in atto, tragico errore ignorarla’

14 Gennaio 2019 09:31

Il titolo non è dei più rassicuranti: Savona: “Tragico errore ignorare la crisi in atto”. Paolo Savona, ministro per gli Affari europei del governo M5S-Lega, scrive una lettera al Messaggero sulle condizioni che oggi caratterizzano l’Europa e l’Italia. Torna alla ribalta il ‘vecchio’ Savona, quello critico nei confronti di un’Europa che continua a essere assillata dal rigore dei conti pubblici, quando perfino l’ex premier Mario Monti sembra ora essere ammaliato dalla scoperta sull’efficacia delle spese per gli investimenti.

Nella lettera non manca la stoccata alla Bce di Trichet ma anche di Mario Draghi. Ma non manca neanche la stoccata, più o meno implicita, alla cecità italiana, visto che “in Italia si nega la realtà”. Realtà di una crisi economica già in atto, che riguarda comunque tutta l’Europa.

Savona inizia la lettera facendo riferimento ai due articoli che The Economist ha dedicato all’euro, in occasione del ventennale dalla sua nascita: “L’euro non è ancora al sicuro” e “L’Unione cucinata in modo insoddisfacente”.

Così il ministro nella lettera scritta al quotidiano romano:

“In essi viene riconosciuto che la crisi dei debiti sovrani seguita alla crisi finanziaria americana del 2008 ha fatto temere che la moneta europea fosse al collasso (…) La storia dell’euro – continua l’autorevole settimanale (citato da Savona)-  è seminata di errori dei tecnocrati’. Il peggiore è non aver riconosciuto che il debito greco non era rimborsabile e le decisioni prese per difenderlo hanno causato una depressione che ha ridotto di un quarto il Pil della Grecia. La severità di giudizio investe anche la Bce che “ha una storia ignominiosa di politica monetaria restrittiva‘ che, tra l’altro, ‘ha lasciato sole le aree depresse‘ ed è stata ‘lenta nel reagire al crash finanziario del 2008, considerandolo in modo arrogante un problema americano’. Il giudizio diviene particolarmente incisivo quando si afferma che essa ‘nel 2011 ha contribuito a far entrare l’Europa in recessione accrescendo troppo i tassi d’interesse’, un errore commesso dall’allora presidente Jean-Claude Trichet, ma non risparmia neanche il successore Mario Draghi, la cui ‘promessa del 2012 di fare whatever it takes per salvare l’euro è stato un atto improvvisato’. L’analisi continua sostenendo che il mal governo della crisi ‘ha spaccato l’Europa tra Paesi creditori e paesi debitori, aiutando i partiti populisti a emergere’. Poichè ‘la crisi può tornare, potrebbe consegnarci una condizione politica anche peggiore'”. Alla domanda ‘che fare?’ il settimanale risponde che occorre ‘evitare che le banche e i debiti sovrani si trascinino a vicenda, danneggiando l’economia. Le difformità tra le economie dell’Eurozona richiedono che gli shock locali vengano compensati della perdita della loro indipendenza monetaria (..).”.

Savona continua a far riferimento alla ricetta consigliata da The Economist:

“In linea con le regole Ue, esse devono avere più margini per uno stimolo fiscale nelle crisi. Ciò, tuttavia, per le stesse regole Ue non è possibile per i paesi come l’Italia afllitte da decenni di debito elevato. I cittadini degli Stati indebitati non possono sopportare una stagnazione perpetua. L’Eurozona dovrebbe avere una qualche politica fiscale centralizzata in funzione anticiclica che includa una spesa per investimenti finalizzata e una comune assicurazione contro la disoccupazione'”.

Con la lettera Paolo Savona fa notare anche i ripensamenti arrivati da molti politici. Incluso quello di Mario Monti che, “pochi giorni prima dell’inchiesta dell’Economist, aveva dichiarato che l’Ue dovrebbe intraprendere un piano di investimenti finalizzati sotto il controllo della Commissione”. Così altri, che sono arrivati ad ammettere “la necessità di uno stimolo fiscale dal lato degli investimenti”.

Eppure, fa notare il ministro, si tratta di posizioni che sono state tutte espresse “lo scorso 7 settembre nel documento inviato a Bruxelles e Francoforte intitolato ‘Una politica per un’Europa diversa, più forte e più equa’, in attuazione del paragrafo 29 del Contratto di governo”.

“Esso si prefiggeva – continua Savona – di togliere i rapporti intraeuropei dalla palude politicamente pericolosa delle discussioni sul rispetto dei parametri fiscali che sta portando l’Ue nella direzione temuta dall’Economist. Nel caso dell’Italia, il dialogo eurppeo è stato pazientemente e insistentemente ricondotto dalla Commissione, cavalcando la spinta della speculazione di mercato, mantenendo l’euro in uno stato di insicurezza (Draghi l’ha definita ‘incompletezza’)”.

Di qui, l’alert di Savona:

“Il settimanale inglese (The Economist) afferma che la crisi economica può tornare, mentre essa è già in atto e si abbatte in modo diverso a livello locale: tutto lascia credere che ci troviamo di fronte a un nuovo tragico ‘errore tecnocratico’ di valutazione. L’azione dell’Ue ha da tempo preso una deriva pericolosa per la sua stessa sopravvivenza. In Italia non se ne vuole parlare, si preferisce negare la realtà”.

E qui uno stop sembra d’obbligo. Per caso Savona fa riferimento alle frasi considerate da più parti troppo ottimistiche del governo M5S-Lega, di cui fa parte come ministro per gli Affari europei?

Viene in mente sicuramente quella proferita dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio che, poche ore dopo la pubblicazione del dato pessimo della produzione industriale, ha parlato addirittura di “possibile nuovo boom economico come negli anni Sessanta”.

Savona conclude:

“Si voglia o non si voglia, non potrà eludersi l’apertura di un dialogo sulla riforma dell’architettura istituzionale e delle politiche UE, come richiesto dalla proposta italiana. Non solo per il bene dell’euro, ma della stessa stabilità politica dell’Unione”. Si dovrà riconoscere che non solo la Francia, come sostiene l’Economist, ma anche l’Italia si è mossa nella giusta direzione, senza per ora scuotere la riluttanza, se non proprio avversione, mostrata da molti paesi dell’Eurozona, dalla Commissione e dalla stessa Bce. Si rifiurta un dialogo più aperto che includa l’indispensabilità della presenza nell’Eurozona di un lender of last resort, lo si chiami Esm o fondo Salva-Stati, e di un fondo comune contro la disoccupazione, come chiede Parigi, sotto il controllo europeo, ma senza condizionalità che operano in senso contrario alla crescita. I tempi delle decisioni sono molto più corti di quelli imposti dalle attese dei risultati di una nuova legislatura europea e, se non si agisce subito, probabilmente non andranno oltre il Labor Day del 2019″