News Finanza Indici e quotazioni Borsa Tokyo +1,33%, Asia snobba fattore Hong Kong e alert Organizzazione Mondiale Sanità: ‘peggio deve ancora venire’

Borsa Tokyo +1,33%, Asia snobba fattore Hong Kong e alert Organizzazione Mondiale Sanità: ‘peggio deve ancora venire’

30 Giugno 2020 08:15

Borse Asia positive, stavolta snobbano i timori legati alla pandemia da coronavirus e si concentrano, piuttosto, sui buoni numeri macro arrivati dalla Cina: resi noti gli indici Pmi del paese, che si sono confermati migliori delle attese.

L’indice PMI manifatturiero è salito a 50,9 punti dai 50,6 punti di maggio, meglio dei 50,4 punti attesi dal consensus. Il Pmi non manifatturiero si è attestato a 54,4 punti, rafforzandosi rispetto ai 53,6 punti precedenti, meglio dei 53,5 punti stimati dagli analisti, e al massimo degli ultimi sette mesi.

Il Pmi Composite è avanzato a 54,2 punti dai 53,4 punti.

Tutti i dati confermano l’espansione dell’attività economica della Cina, in quanto superiori a 50 punti (linea di demarcazione tra fase di espansione dell’economia – valori al di sopra – e di contrazione – valori al di sotto).

L’indice NIkkei 225 della Borsa di Tokyo chiude così la sessione in rialzo dell’1,33% a 22.288,14 punti; bene anche Shanghai, +0,81%, Sidney +1,98%, Hong Kong +0,59%, Seoul +1,35%.

Sempre dal fronte macro, meno bene è andata al Giappone, la cui produzione relativa al mese di maggio – diffusa la lettura preliminare -, indica un crollo dell’8,4% su base mensile, peggio del -5,9% atteso ma in lieve miglioramento rispetto al -9,8% di aprile.

Su base annua, il dato è crollato tuttavia del 25,9%, peggio del -23,1% stimato dal consensus e anche del -15% di aprile.

Diffuso in Giappone anche il tasso di disoccupazione che, nel mese di maggio, è salito al 2,9%, rispetto al precedente 2,6%. Il dato è stato lievemente peggiore delle attese, visto che il consensus aveva previsto un aumento limitato al 2,8%.

Il ratio che indica la disponibilità di posti di lavoro è sceso a maggio a 1,20, rispetto all’1,32 di aprile, al minimo dal luglio del 2015.

Dal fronte Covid-19, si segnala l’alert lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sui contagi da coronavirus: “Sebbene molti paesi abbiano fatto qualche progresso, a livello globale, la pandemia si sta intensificando – ha detto il numero uno del WHO, Tedros Adhanom Ghebreyesus – L’unico modo più efficace per intervenire è…tracciare e mettere in quarantena chi è venuto in contatto (con il virus). A sei mesi dall’inizio del virus, può sembrare un disco rotto dire esattamente la stessa cosa, ma la stessa cosa funziona. Testate, testate, isolate, mettete in quarantena i contagiati”. Ghebreyesus ha detto inoltre, in sintesi, che “il peggio deve ancora arrivare”.

Intanto, dagli ultimi dati diramati dalla Johns Hopkins University, emerge che il coronavirus ha infettato più di 10,1 milioni di persone, nel mondo, uccidendone almeno 502.634.

Occhio alla borsa di Hong Kong, che sale anche dopo la notizia – evidentemente scontata – della decisione dell’organo più importante del Parlamento di Pechino di approvare la nuova proposta di legge sulla sicurezza nazionale, che inasprisce i controlli cinesi sulla città stato, e che sarà efficace a partire da domani, 1° luglio.

La proposta era stata presentata lo scorso 22 maggio, in occasione dell’apertura dei lavori dell’Assemblea nazionale del Popolo, dal premier cinese Li Keqiang. Keqiang aveva chiesto praticamente un maggiore controllo da parte di Pechino su Hong Kong, a dispetto delle proteste anti-governative che si sono svolte ripetutamente nella città stato contro il potere cinese.

Quella approvata nelle ultime ore una legge che vieta la secessione, il sovvertimento del potere dello stato, le attività terroristiche e le interferenze straniere. Immediata la reazione del segretario di Stato americano Mike Pompeo, che ha annunciato che gli Stati Uniti imporranno nei confronti di Hong Kong le stesse limitazioni sull’export in vigore contro le esportazioni cinesi.

Gli Usa e l’opinione pubblica mondiale accusano da diverso tempo Pechino di non aver osservato il principio costituzionale “one country, two systems” che la stessa Repubblica popolare cinese aveva lanciato ai tempi di Deng Xiaoping, durante i negoziati con il Regno Unito per il trasferimento della sovranità su Hong Kong.

Nel corso degli ultimi anni il principio, che aveva permesso alle regioni amministrative speciali di Hong Kong e di Macau di continuare ad avere un proprio sistema governativo, legale, economico e finanziario, raggiungendo anche accordi commerciali con paesi stranieri, è stato costantemente violato dalla Cina.