Finanza Notizie Mondo G20: protagonisti paura protezionismo e tassazione su Google & Co. Bitcoin spaventa meno

G20: protagonisti paura protezionismo e tassazione su Google & Co. Bitcoin spaventa meno

20 Marzo 2018 11:37

Ministri delle Finanze e governatori di banche centrali più indulgenti verso le criptovalute e più severi invece sulle multinazionali digitali, del calibro di Google e Amazon? Sembra così, stando alle prime dichiarazioni rilasciate dai vari funzionari in occasione del G20 di Buenos Aires: tanto che il Bitcoin ha festeggiato, mentre le vendite si sono accanite a Wall Street sul settore tecnologico, già affossato dallo scandalo Facebook

Riflettori puntati su questa riunione del G20, dove protagoniste sono soprattutto le forti tensioni commerciali, innescate dalla decisione di Donald Trump di imporre dazi doganali sull’acciaio e sull’alluminio.

Trump ha alimentato i timori sulla minaccia del protezionismo, che sembra sempre più reale se si considera che l’amministrazione Usa si prepara a sferrare, nella giornata di venerdì, un nuovo schiaffo commerciale alla Cina del valore di $60 miliardi.

Per chi punta sul cripto-universo, intanto, una buona notizia è arrivata con le dichiarazioni di Mark Carney, numero uno della Bank of England che, dopo aver criticato senza remore il Bitcoin e le altre valute digitali negli ultimi mesi, ha affermato di non ritenere che il settore possa rappresentare un rischio per l’economia mondiale.

“Anche considerando i recenti massimi, il valore combinato globale (delle criptovalute) è inferiore all’1% del Pil mondiale”. Insomma, nessun pericolo per la stabilità finanziaria secondo il banchiere centrale.

Ed è bastato questo a far volare ieri il Bitcoin di 1000 dollari circa. Le prospettive sono, d’altronde, positive:

“E’ improbabile che dal G20 arriverà la richiesta di una nuova regolamentazione (per il Bitcoin), ha detto una delle fonti interpellate da Reuters.

Verrà messo comunque in rilievo come il Bitcoin e altri asset digitali possano fomentare il riciclaggio di denaro sporco e finanziare il terrorismo. 

Piuttosto questo G20, oltre che sul rischio di guerre commerciali – che sarà l’argomento principale della riunione, sembra voler focalizzarsi sulle multinazionali che operano nel comparto digitale. 

Una richiesta ad hoc sulla tassazione digitale è arrivata proprio nelle ultime ore dal Tesoriere dell’Australia Scott Morrison, che ha lanciato a Buenos Aires un appello alle controparti, per lavorare insieme a un regime fiscale che colpisca i colossi della new economy.

Il ministro troverà sicuramente un alleato nella Germania che, stando a quanto ha anticipato il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz, cercherà di fare in modo che le economie del G20 si accordino sulla necessità di rendere più severa la tassazione sulle società del settore.

“La comunità internazionale deve trovare risposte alle sfide della digitalizzazione. Tassare l’economia digitale” fa parte di questa necessità, ha detto Scholz.

Il suo collega australiano Morrison è stato ancora più severo:

“L’idea secondo cui la new economy debba essere esente dalla tassazione non ha senso…non può essere un club esente dalle tasse“.

Intanto Bloomberg ha riportato indiscrezioni, secondo cui la Commissione europea starebbe lavorando a una proposta, per fare in modo che i colossi digitali che operano nell’Unione europea, come Alphabet – holding a cui fa capo Google – e Twitter, vengano colpiti da una tassa del 3% sul fatturato lordo, a seconda della residenza dei loro utenti.

La proposta, che secondo le fonti sarà presentata domani 21 marzo, sarebbe solo una soluzione di breve termine, a cui seguirebbe un piano più dettagliato e di lungo termine focalizzato sulla tassazione delle multinazionali digitali.

Nel frattempo, la tassa del 3% colpirebbe società con un fatturato complessivo annuo, a livello globale, superiore a 750 milioni di euro e quelle con un fatturato annuo proveniente dall’offerta di servizi digitali nell’Unione europea superiore a 50 milioni di euro.

La posizione dell’Ue è del tutto opposta a quella degli Stati Uniti, che hanno sempre mostrato il loro dissenso verso misure che prendano di mira specifiche società digitali o che impediscano al settore hi-tech di crescere.