Notiziario Notizie Italia Altro che letteracce da Bruxelles, Padoan ha paura dei mercati. E Subacchi (Chatham House) avverte: banche italiane sono l’Elephant Room nella stanza

Altro che letteracce da Bruxelles, Padoan ha paura dei mercati. E Subacchi (Chatham House) avverte: banche italiane sono l’Elephant Room nella stanza

17 Gennaio 2018 13:45

C’é Moscovici che irrita l’intera arena in cui si battono i politici italiani, affermando che le elezioni politiche del prossimo 4 marzo sono un rischio per l’Unione europea intera. C’è poi il vice della Bce, Vitor Costancio che, in una intervista a Repubblica, mette le mani in avanti, sottolineando che non spetta a lui “commentare i programmi elettorali” e che, in ogni caso, quello che osserva “è che i mercati sono molto calmi”. E c’è il ministro delle finanze Pier Carlo Padoan, che tanto calmo, invece, non è.

Non è questa perlomeno l’impressione che dà, nel momento in cui sottolinea che “il timore più grande degli altri paesi e dei mercati è l’insostenibilità”, e in cui si spiega, affermando che ha “sul tavolo una schermata con l’andamento dei mercati di tutti i giorni”. Schermata da cui risulta che “l’ipotesi più paventata è questa: quando c’è una notizia di aumento di probabilità che ci sia un governo non sostenibile i mercati reagiscono immediatamente“.

Di qui, l’auspicio del ministro: “Il debito deve scendere e siccome già è bello alto”, anche perchè il problema “non è tanto che da Bruxelles ci mandino le ‘letteracce” ma che i mercati “ci tolgano i prestiti e vendano i titoli”.

In vista del voto imminente, si sprecano i commenti su quello che potrebbe essere l’impatto dell’esito elettorale sull’Italia: previsioni catastrofiche si affiancano a veri e propri inviti alla calma, e analisti e agenzie di rating fanno il loro lavoro snocciolando outlook vari su quello che viene considerato tuttora, anni dopo la terribile crisi del 2011, il tallone d’Achille del paese: il binomio, per alcuni esperti esplosivo, BTP-banche, noto, per usare i termini utilizzati da S&P, anche come “abbraccio mortale”, o “doom loop” tra i titoli del debito pubblico italiani e le banche italiane.

Così si era espresso in un’intervista esclusiva rilasciata a Reuters lo scorso anno, Moritz Kraemer, responsabile della divisione dei debiti sovrani di S&P:

Poniamo il caso che si verifichi un sell off sui titoli governativi italiani, o che arrivi l’annuncio di un tapering (da parte della Bce, che tra l’altro è quanto i mercati stanno scontando proprio ora). A quel punto il sistema bancario italiano sarà estremamente esposto, considerata la presenza, nei bilanci delle banche, dei bond sovrani”.

E, “se questo problema dovesse peggiorare, scatenando anche salvataggi di stato del settore bancario, si assisterebbe a un circolo vizioso, che aggiungerebbe un altro elemento di complessità”. Una “situazione del genere è già accaduta (aveva detto Kraemer, riferendosi al circolo vizioso BTP-banche) e diciamolo: i problemi del settore finanziario italiano non attengono a una o due banche: si tratta di un problema diffuso”.

Da allora, la stessa Standard & Poor’s , proprio qualche ora fa, ha riconosciuto che i miglioramenti compiuti dal settore bancario italiano sono stati considerevoli.

L’agenzia di rating ha tuttavia messo anche le mani in avanti, aggiungendo che “la prognosi non è del tutto chiara“, facendo notare l’importanza del rischio politico. Se a ciò si aggiunge il commento di Equita ai dati dell’Eba relativi al ratio NPL delle banche italiane, si arriva alla conclusione che le frasi sui progressi del sistema bancario italiano sono quasi sempre ingolfate da vari “se” e “ma”.

L’OPINIONE DI PAOLA SUBACCHI (CHATHAM HOUSE)

Paola Subacchi, direttrice del Dipartimento di Economie Internazionali di Chatham House e scrittrice di diversi libri – di cui il più recente è “The People’s Money: How China Is Building a Global Currency”, descrive le condizioni in cui versano le banche italiane in un articolo pubblicato su Project Syndacate, intitolato “The electoral fate of Italy’s banks”, ovvero “Il destino elettorale delle banche italiane”.

In vista delle elezioni politiche che promettono di essere tra le più infuocate dal 1945 – scrive Subacchi – “le banche sono l’elefante nella stanza. Troppo grandi e ingombranti per essere ignorate, sono una fonte costante di imbarazzo per i partiti che sono stati al governo dalla crisi finanziaria globale del 2008, specialmente per l’ex premier Matteo Renzi, che spera di ravvivare la sua carriera politica a marzo. (Le banche) sono anche un target invitante anti-establishment per i populisti del M5S“.

L’autrice ripercorre la storia recente degli istituti di credito:

“Prima della crisi finanziaria globale, l’Italia veniva descritta come un paese con banche solide, radicate nell’economia locale, che mai si erano dilettate con quegli strumenti finanziari esotici come i derivati. (L’Italia) era nota anche per essere un paese di risparmiatori prudenti, che faceva da cuscinetto a fronte di un settore pubblico che continuava a sperperare soldi e di un debito in crescita”.

Subacchi ricorda poi, come, a seguito del crac di Lehman Brothers nel settembre del 2008, l’allora ministro delle Finanze Giulio Tremonti, parlò del buono stato di salute del sistema finanziario del paese.

“Il risultato fu che sia un’importante ricapitalizzazione delle banche italiane che la creazione di una ‘bad bank’ volta ad assorbire gli NPL vennero considerate non necessarie“.

Il resto, è sotto gli occhi di tutti.

“Dieci anni più tardi, l’Italia non rispecchia più l’immagine della terra popolata da banche fiorenti e risparmiatori felici. La prolungata recessione e il malessere economico hanno inficiato il tasso di risparmio, mentre le banche non hanno più le risorse per assicurare la tranquillità ai diversi investitori retail, la cui fiducia è stata gravemente erosa”.

Non si può non fare riferimento, continua l’articolo, a quel “patto implicito tra le banche e i risparmiatori che è stato rotto alla fine del 2015, quando quattro banche locali in difficoltà (il riferimento è alle vecchie CariChieti, CariFerrara, Banca Marche e Banca Etruria) vennero soggette alla procedura di bail-in, a scapito degli azionisti. Per anni, quel patto aveva sorretto una repressione finanziaria in stile italiano, dove risparmiatori avversi al rischio avevano scambiato la sicurezza, credendo implicitamente che le banche non avrebbero potuto fallire, in cambio di ritorni, su base reale, relativamente bassi”.

Con la risoluzione delle quattro banche, quel patto saltò e iniziò, fa notare l’esperta, il rimpallo delle responsabilità tra il governo e i partiti di opposizione, e anche tra i politici e le autorità di regolamentazione, con tutti che diedero la colpa all’Unione europea e alle regole bancarie.

Subacchi è ferma nell’indicare ciò che deve essere fatto a questo punto:

“Il governo che emergerà dal voto del 4 marzo dovrà dare la massima priorità al settore bancario. Per ripristinare la fiducia tra i risparmiatori e gli investitori, (il nuovo esecutivo) dovrà trovare una soluzione per liberare i bilanci delle banche dagli NPL, che stanno mettendo in pericolo il credito, rendendo il capitale più costoso e dunque frenando l’economia. La soluzione deve essere guidata dal mercato, dal momento che il volume degli NPL è troppo grande, e la ripresa economica troppo lenta, affinché questo carico di debiti venga gradualmente assorbito. Di conseguenza, il nuovo governo dovrebbe identificare i casi in cui gli NPL ostacolano il normale funzionamento delle banche, vendere questo debito, e rafforzare il capitale delle banche coinvolte. Allo stesso tempo, dovranno essere riformate le procedure di liquidazione, al fine di assicurare un intervento ragionevolmente veloce degli asset dei debitori che hanno fatto default“.

E, ancora:

“Se desidera ripristinare la fiducia e la credibilità (nel sistema finanziario), il nuovo governo dovrà mettere al centro dei suoi obiettivi il perseguimento di una governance solida. Nel corso degli anni, le distrazioni delle autorità di regolamentazione, la mancata indipendenza dei cda, e una buona dose di repressione finanziaria hanno trasformato diverse banche in canali di finanziamento a favore di familiari, amici, politici” (e qui si fa riferimento al caso MPS, banca associata al PD, al governo dal 2013, ora controllata per il 70% dal Tesoro italiano)”.

“Ripristinare la credibilità del mercato significa chiarire anche il ruolo che le banche devono avere nell’economia”.

Di qui gli interrogativi che il prossimo governo italiano dovrebbe porsi:

“Visto che forniscono un bene pubblico – ovvero il credito all’economia reale – (gli istituti) dovrebbero per caso far parte di un’ampia strategia di politica economica di lungo termine, per il paese? E, in un’economia che dispone di 600 piccole banche indipendenti e di troppe filiali, il processo di consolidamento dovrebbe essere incoraggiato e sostenuto?”.

Ma Subacchi è la prima a rendersi conto che tali sfide potranno essere combattute solo con un “governo che poggerà su una stabile maggioranza”, oltre che con “la determinazione costante di mettere la crescita economica al centro dell’agenda politica” e alla “volontà di affrontare quelli che sono i molti interessi particolari dell’Italia”.

Amara è la constatazione della realtà:

“Purtroppo, nessun partito finora ha indicato un’agenda economica credibile e completa. E nessuno finora sembra capace di vincere o assicurare una maggioranza parlamentare. E quindi, lo scenario più probabile è che le banche ‘zombificate’ continueranno a nutrire la narrativa elettorale populistica. E se quella narrativa scatenerà una vittoria dei populisti a marzo, la riforma del settore bancario sarà nuovamente posticipata, aumentando ulteriormente il costo finale”.